E ora Google che fa? Per non pagare gli editori minaccia di lasciare anche l’Europa?

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I parlamentari europei stanno spingendo per adottare misure analoghe a quelle australiane per costringere i colossi del web a pagare gli editori

Si parte da due presupposti. Il Digital Services Act e il Digital Markets Act sono le due bozze fondamentali di regolamenti dell’Unione Europea che rientrano nella sfera più ampia della regolamentazione dei rapporti tra i giganti del web (come Google e Facebook, ad esempio) e i singoli editori che producono informazione. Lo schema che si è venuto a creare, da qualche tempo anche in Europa, sembra essere quello che permetterà alle grandi compagnie di negoziare degli accordi con gli editori al fine di poter usufruire dei loro contenuti. Su questa stessa linea, tuttavia, nei mesi scorsi si è registrata una posizione molto più forte, quella dell’Australia: lo Stato, infatti, sta per licenziare una legge che prevede delle regole molto più stringenti per questa negoziazione tra gli editori e gli OTT e che punti a fare maggiore chiarezza sugli algoritmi che, per Google e Facebook ad esempio, determinano i criteri con cui le notizie dei vari editori vengono selezionate all’interno dei loro contenitori di informazione (Google News, ad esempio, o – quando sarà attivo in tutta Europa – anche Facebook News), sui loro motori di ricerca o, banalmente, nei feed dei social network.



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Google e editori, la battaglia anche nella UE

Dopo il pugno di ferro portato avanti dal premier australiano Scott Morrison, Google ha messo in campo una reazione scomposta, minacciando di sospendere i propri servizi nel Paese oceanico. Cosa farà, dunque, Mountain View, dal momento che – come riportato oggi dal Financial Times – anche i legislatori europei sembrano essere orientati a inserire all’interno del Digital Services Act e del Digital Market Act dei riferimenti molto simili alla prossima legislazione australiana? Minaccerà di sbattere la porta e andarsene? Si produrrà in una imitazione di Gianfranco Fini quando, alzandosi dalla platea, si rivolse in maniera eloquente a Berlusconi chiedendogli: «Che fai? Mi cacci?».



La posizione dei parlamentari europei che stanno lavorando ai documenti (le commissioni di riferimento sono IMCO, la Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, e AIDA, quella sull’intelligenza artificiale in un’era digitale) sembra essere piuttosto netta. C’è tutta una corrente di pensiero, che si raccoglie attorno alle posizioni del maltese Alex Saliba e dell’estone Andrus Ansip, che punta a rafforzare la direttiva europea sul copyright – che al momento è il solco all’interno il grande tema di Google e Facebook che devono pagare gli editori si inserisce -, ritenuta troppo debole e troppo sbilanciata a favore delle grandi multinazionali. Guardano, pertanto, proprio all’Australia per cercare di rafforzare la posizione degli editori, soprattutto per quanto riguarda la maggiore trasparenza sugli algoritmi che mettono in ordine le notizie sui motori di ricerca e sui social network generalisti.

Bisognerà capire, adesso, come ci si muoverà all’interno del parlamento europeo per rendere concrete queste premesse. Al momento, la direttiva sul copyright deve ancora essere completamente assimilata da tutti gli stati membri, mentre in Francia – ad esempio – Google ha già raggiunto degli accordi con delle realtà editoriali. Il motore di ricerca, al momento, sembra prudente sulla posizione da tenere nei confronti dell’Europa e delle sue istituzioni, ricordando come le persone «si fidano di Google» e di come sia disposto a mettere in campo già un miliardo di dollari nel prossimo triennio per dare un contributo all’editoria. Da Facebook, invece, tutto tace. Pericolosamente.