Dobbiamo preoccuparci per il fatto che TikTok monitori i dati personali dei giornalisti?

Nella fattispecie, quello che è accaduto a Emily Baker-White e a Cristina Criddle rappresenta una questione aperta. Anche perché non è vero che TikTok si è scusata

12/01/2023 di Redazione

Il fatto che TikTok abbia ammesso, a fine dicembre, che alcuni suoi dipendenti abbiano messo nel mirino alcuni cittadini, tra cui due giornalisti americani, non significa che la piattaforma abbia presentato le sue scuse. È stato, quest’ultimo, un messaggio sbagliato, derivante probabilmente dalla scorretta interpretazione dell’articolo del New York Times con cui si raccoglievano le dichiarazioni dei vertici di ByteDance, dopo le accuse di aver avuto accesso ai dati personali delle giornaliste Emily Baker-White, che ha scritto per BuzzFeed e ora è a Forbes, e Cristina Criddle del Financial Times, autori di diversi scoop sulla piattaforma. L’accesso ai dati personali delle giornaliste d’inchiesta sarebbe stato una conseguenza della presunta consultazione, da parte delle croniste, di fonti qualificate che permettevano loro di scrivere i loro reportage su TikTok. Alla fine, TikTok ha riconosciuto che quattro suoi dipendenti, due negli Stati Uniti e due in Cina, avrebbero tradito la fiducia dell’azienda e avrebbero – di loro spontanea volontà – violato le policies della società, accedendo illegalmente ai dati personali delle giornaliste stesse.

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I quattro dipendenti di TikTok sono stati licenziati. Avevano tentato di avere accesso agli indirizzi IP e ad altri dati dei due reporter e di un piccolo gruppo di persone a loro collegati tramite i loro account TikTok. Il New York Times ha riportato il rammarico di Rubo Liang, amministratore delegato di ByteDance: «Abbiamo speso enormi sforzi per costruire una pubblica fiducia e una certa awareness, ma questa sarà significativamente minata dalla cattiva condotta di alcuni individui interni all’azienda». Non sono, dunque, arrivate delle scuse ufficiali, ma semplicemente una presa di coscienza di una situazione che è stata confermata da un team di verifica indipendente. Tutto ciò, lo si ribadisce, è avvenuto internamente e ha trovato in qualche modo una sua esposizione pubblica semplicemente attraverso l’articolo del New York Times e di quelli che lo hanno a loro volta ripreso.

Le contraddizioni tra la spiegazione data da TikTok e la questione in essere

TikTok ha provato a spiegare che i dati a cui hanno avuto accesso i suoi ex dipendenti erano dati storici, che erano in qualche modo “sopravvissuti” alla migrazione sui server di Oracle, base dell’accordo che ha permesso alla piattaforma di continuare a operare, con una certa sicurezza, anche negli Stati Uniti, facendo superare inizialmente le resistenze sul trattamento dei dati di cittadini statunitensi da parte delle autorità o da gruppi di potere cinesi.

TikTok, nelle sue comunicazioni interne, ha detto che i quattro dipendenti hanno avuto accesso alle informazioni di utenti statunitensi. Ma c’è da evidenziare che, ad esempio, la giornalista Cristina Criddle lavora e opera da Londra (e non negli Stati Uniti, come emergerebbe dalla pubblica ammissione di TikTok) e che si occupa prevalentemente delle questioni legate a TikTok nel Regno Unito e in Europa. Dunque, l’ammissione di TikTok non copre totalmente quanto accaduto e lascia più di un dubbio sull’attività di trasferimento e di monitoraggio dei dati degli utenti. Soprattutto quando questi svolgono un servizio pubblico di informazione.

Cristina Criddle, raggiunta da Giornalettismo, ha sottolineato di non voler commentare personalmente la situazione. La nostra testata è in attesa di uno statement del Financial Times, che possa esprimere il punto di vista ufficiale sulla vicenda.

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