Massimo Giletti ha rilasciato una lunga intervista a Libero parlando della guerra e dando la sua opinione sullo stato di salute della televisione italiana e dei talk show soprattutto in ambito Rai. L’idea di Giletti traspare chiaramente rispetto a tutti i punti citati nell’ampio intervento pubblicato sull’edizione cartacea del giornale a firma Pietro Senaldi e, in particolare, sul talk show. Ai politici che vogliono dare una direzione precisa ai programmi Rai – andando, di fatti, a compromettere la libertà e l’indipendenza dei conduttori e volendo pilotare le loro decisioni – affibbia l’etichetta di «putiniani della tv».
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«Se dirigi un telegiornale, selezioni gli ospiti in base alle notizie – ha affermato – Ma un talk show è costruito sulle idee e sulla loro contrapposizione». In riferimento a quanto detto da Fuortes – che ha parlato di talk show di cui si è fatto un abuso e che non farebbero approfondimento giornalistico – «io inizio a sospettare che qualcuno voglia istituire un ministero della Verità, che scelga conduttori programmati per seguire una linea imposta dalla politica». Parla anche di quella che, a suo dire, è una «censura di Stato» che Bianca Berlinguer starebbe subendo «perché ospita Orsini o la Di Cesare. Ma sono due professori universitari».
Pressioni di questo tipo, secondo il conduttore di La 7, non sono accettabili soprattutto nell’ambito della campagna elettorale cui stiamo andando incontro nella quale – come sempre – il ruolo della televisione e della comunicazione dei mass media ai cittadini gioca un ruolo chiave: «Andiamo incontro a una campagna
elettorale decisiva e il quadro politico è molto in bilico, si avverte grande tensione sia a sinistra sia a destra. Avere un conduttore più gestibile in un talk show fa comodo a molti».
Sui talk show Giletti ammette che, effettivamente, «può darsi che siano un po’ troppo lunghi ma assegnarli a personaggi improvvisati non li può certo aiutare». I vertici Rai che parlano di un format ormai logoro e inadatto a fare approfondimenti perché, secondo il conduttore, «vogliono mascherare qualcosa di diverso: non intendono assumersi le responsabilità di quel che fanno». Guarda alla Rai del passato, quella di Bernabei, in cui i giornalisti erano «di qualità tale che riuscivano
a dire di no alla politica» mentre oggi – cosa che apparirebbe ancora più evidente con la guerra – «ci vantiamo della nostra grande democrazia ma le nomine di direttori di rete e testate giornalistiche sono tutte politiche, e i partiti, che pretendono di decidere chi può condurre e chi no, si scandalizzano solo quando non vengono accontentati».