Gianni Riotta si è scusato per aver postato la foto fake della bandiera talebana a Kabul

Il giornalista sostiene che «purtroppo la sostanza non cambia»

16/08/2021 di Redazione

Un primo tweet per scusarsi per aver condiviso una falsa informazione sui social network, un secondo tweet per dire che, purtroppo, «la sostanza non cambia». Gianni Riotta, giornalista che scrive per La Stampa, per l’Huffington Post e che dirige la Scuola di Giornalismo della Luiss, aveva pubblicato – com’era successo anche a diverse testate e a diversi telegiornali che avevano inserito il fotomontaggio tra i propri servizi – l’immagine del palazzo del governo di Kabul sovrastato da una immensa bandiera dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan. In molti avevano pensato all’immagine come a una sorta di simbolo della caduta della capitale del Paese. Ma in realtà si è trattato – come vi abbiamo spiegato qui – di un fake.

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Gianni Riotta si scusa per aver pubblicato una foto fake di Kabul

«Una delle prime foto circolate della bandiera Talebana era un falso. Se postata per errore, come me, cancellate. Mi scuso! – ha scritto in un primo tweet, per poi aggiungere – Purtroppo, la sostanza non cambia ahinoi».

L’ammissione di responsabilità di Gianni Riotta dovrebbe essere condivisa ufficialmente anche da tutte le altre testate – e da tutti gli altri organi di informazione televisivi – che hanno pubblicato questa immagine, in modo tale da ovviare al grande impatto che quella fotografia ha avuto sull’opinione pubblica. La situazione in Afghanistan resta drammatica e sicuramente non c’era bisogno di una foto del genere per stabilire come, ormai, i talebani siano entrati nei palazzi del potere.

Resta comunque una grande distorsione della realtà mostrare una bandiera enorme (sproporzionata, che anche a occhio nudo sembra essere un fotomontaggio) sventolare contro ogni legge della fisica su un palazzo di Kabul. Molto del potere dei talebani riconquistato in Afghanistan passerà attraverso i simboli: è inutile diffonderne di totalmente inventati, predisposti da account di propaganda (abbiamo visto come anche i talebani siano disposti a utilizzare i mezzi di informazione più tipicamente occidentali, come i social network).

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