Gafa: la tassa sui colossi del Web che divide Francia e USA
26/08/2019 di Daniele Tempera
Un nome che è essenzialmente un acronimo. A Luglio la Francia ha introdotto una webtax denominata GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) per disciplinare profitti dei colossi del Web. I termini? Tutti i big del digitale che fanno affari in Francia, indipendente dalla loro sede fisica, vengono tassati dal fisco francese, con una percentuale del 3% sul fatturato. La tassa è destinata a tutte le imprese digitali con un fatturato mondiale di oltre 750 milioni di euro, e di un fatturato francese di oltre 25 milioni di euro. È una sorta di norma “apripista” dopo innumerevoli dibattiti sui profitti non tassati delle multinazionali del digitale ed era stata pensata anche per estenderla a livello UE, dove però i fautori di una Web Tax si scontrano, da sempre, con l’opposizione di paesi come Irlanda e Lussemburgo, che si reggono su economie pesantemente influenzate dalle attività delle multinazionali del digitale. E mentre, da piu parti, si auspicava una norma di livello internazionale, gli attacchi più veementi contro la legge francese sono venuti dagli USA, la nazione che ospita il maggior numero di aziende digitali, sicuramente quelle leader a livello mondiale.
Il muro contro muro con Trump e la minaccia di una guerra commerciale
Sì, perché se le autorità francesi erano coscienti di rischiare pesanti ritorsioni dall’alleato di oltre-manica, la risposta di Trump non si è fatta attendere già da luglio, con il presidente americano che si dichiarava pronto a imporre dazi sui vini francesi con la solita verve che lo contraddistingue e con un’immancabile tweet.
France just put a digital tax on our great American technology companies. If anybody taxes them, it should be their home Country, the USA. We will announce a substantial reciprocal action on Macron’s foolishness shortly. I’ve always said American wine is better than French wine!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 26, 2019
“Annunceremo presto un’azione reciproca e sostanziale contro la stupidità di Macron. Ho sempre detto che il vino americano è meglio di quello francese!”. Una mossa da istrione che però non aveva allontanato il timore di una guerra commerciale contro la UE, che aveva annunciato contromosse in caso di dazi sui vini francesi ed europei.
Quel che certo è che i due sono, in questi giorni al G7 di Biarritz, è che la webtax francese è uno dei grandi temi d’incontro fra USA e Francia, con fonti americane che si dicono fiduciose di trovare un accordo in sede OCSE e scongiurare così il timore di uno scontro aperto con la UE, anche in virtù delle dichiarazioni di Macron che parla di “legge imperfetta”.
E proprio nel pomeriggio del 26 agosto Macron ha detto di aver trovato un accordo con l’alleato americano per “correggere “situazioni ingiuste e di concorrenza sleale”. Una soluzione da realizzarsi entro il 2020 in un quadro Ocse, come auspicato da Trump.
Del resto, i colossi dell’online, sanno come “difendersi” dalle legislazioni nazionali, anche senza l’intervento di presidenti o organizzazioni internazionali. È il caso di Amazon, leader del commercio on-line, che ha immediatamente portato avanti una contromossa all’indomani dell’approvazione della webtax francese. Secondo il quotidiano Le Monde, l’azienda avrebbe inviato mail alle piccole aziende e ai piccoli rivenditori con l’annuncio che da ottobre sarebbero stati applicati costi aggiuntivi del 3% (in caso la webtax francese restasse in piedi). Una ritorsione che sa di pressione e ricatto d’altri tempi: l’ennesimo riflesso di un mondo patinato e deregolamentato, di cui spesso riusciamo a scorgere solo la superficie. Chiamatela, se volete, web economy.