Lettera di un trentenne di fine decennio a chi avrà trent’anni tra dieci anni
30/12/2019 di Gianmichele Laino
Se la neve e il freddo dovessero arrivare in questo scorcio di fine decennio, almeno darebbero l’illusione di poter congelare tutto e salvare il meno peggio che è rimasto in fondo alla scatola coperto di polvere. Ma quando il cotechino riemergerà dalla zuppa di lenticchie, in un meccanico rincorrersi di brindisi e buon anno, il precipizio sarà inevitabile. Soprattutto quando tutti nella stanza guarderanno te, che avrai trent’anni tra dieci anni, alle prese con il filtro della tua ultima Instagram Stories.
Nuovo decennio, cosa dobbiamo aspettarci e cosa è stato
Avrai un bel trafficare con le scritte fluo e con la giusta canzone da mettere in sottofondo, mentre – incurante di quello che ti succede intorno – cercherai di darti un tono, mostrando a centinaia di persone che ti seguono quello che vorresti essere o quello che quegli altri vorrebbero che tu fossi. Moda effimera e passeggera. Tanto tra due anni useranno tutti Tik Tok e tra quattro anni qualcosa ancora di diverso, con un nome altrettanto stupido e con quell’iniziale candore di innocenza infantile che battezza tutti i progetti più diabolici. Partono tutti così, come giochi per bambini. Poi diventano illogiche concentrazioni di potere, per uomini politici e istituzioni che, per comunicare, si trovano a utilizzare selfie o balletti o chissà che altro uscirà fuori, sulla strada che ci porterà in quel luogo infernale che mi immagino essere il 2030.
Ti diranno che se usi Instagram sei vecchio. Come lo hanno detto a noi che «usiamo ancora Facebook» e che ci siamo iscritti lì sopra nel 2011 o nel 2012 (i più nerd anche qualche anno prima) con l’illusione di avere uno spazio per eliminare le distanze e per avere un palcoscenico da cui esibire il nostro pensiero. Come se a qualcuno sia mai importato. Eppure eravamo convintissimi, nel bel mezzo di quella crisi economica che ha contrassegnato il nostro diventare grandi, quasi come un peccato originale.
Sezionavamo un esametro di Omero ed eravamo contenti di farlo, anche se qualcuno ti diceva che era impossibile con l’Iliade e l’Odissea, perché l’approccio antropologico doveva prevalere su quello filologico. Sorridevamo e andavamo avanti per ore, tra scaffali di cui amavamo la solennità della polvere, perché convinti che quella sarebbe stata la nostra arma in più. Quello che ci avrebbe distinto e che ci avrebbe reso rispettabili.
Eravamo contenti anche quando manifestavamo, negli ultimi reflussi dell’Onda. Quando dopo i binari di una stazione, c’era anche un’autostrada da bloccare. Di sera e sotto la pioggia. Quando c’erano gli slogan, le bandiere e Michele Santoro in televisione. Adesso per manifestare, tu che avrai trent’anni tra dieci anni, dovrai accontentarti di restare in piedi in una piazza, muto come una sardina. Al massimo con Bella Ciao cantata più come colonna sonora della Casa di Carta che come canto partigiano. Non ti tremeranno mai le gambe quando la intonerai, non conoscerai mai la potenza di un megafono e di una voce roca.
L’antipolitica si è impossessata del nostro decennio – sei presidenti del consiglio e due papi entrambi ancora in vita – e continuerà ad avere riflessi anche nel prossimo. Lo abbiamo scoperto in un giorno di inizio primavera del 2013, tra uno streaming e una scatoletta di tonno. Ma la parabola dell’honestà, dei rimborsi, dei parlamentari in autobus rischia di essere la più breve stagione politica della nostra Repubblica e non so se te ne ricorderai più quando, tra qualche mese, andrai a mettere nell’urna la scheda con il nome di chi pronuncia cose che, solo 10 anni fa, erano impronunciabili. La ridicolizzazione dell’olocausto, l’elogio del braccio teso, il povero che emigra che diventa nemico.
Ci dirai che scrivere non sarà più utile, mentre noi ne abbiamo fatto un mestiere in cui credere anche in tempi difficili. In realtà, avevano fatto di tutto per farmene accorgere anche in questo decennio, quando ho scoperto il fastidio dei favoritismi e delle porte che si chiudevano. Poi, un maestro genovese alto che masticava il sigaro e che aveva gli occhi piccolissimi quando rideva mi convinse, senza mai dirmelo, che avrei dovuto continuare a cercare le parole. Pazienza se adesso il lavoro è tanto e poco appagante e se il nuovo decennio porterà con sé l’incertezza del salto nel vuoto. Ma questa è una storia personale, che nulla ha a che fare con te, che avrai trent’anni tra dieci anni.
Cosa resta di questo fine decennio
Mi piacerebbe consegnarti l’ultimo cucchiaio di Francesco Totti, la faccia sporca di fango di Vincenzo Nibali che aveva capito di aver vinto il Tour già dopo cinque tappe, un Francesco De Gregori che è diventato simpatico quando fa i concerti, la memoria di Lucio Dalla e di Nelson Mandela, gli scintillanti giochi di luce, tra le foglie morte, dell’albero della vita all’Expo di Milano, la fatalità di Matera capitale, le lacrime delle tante italie devastate dai terremoti perché c’è sempre un minuto che distrugge ciò che il millennio precedente ha costruito.
Ma ho come la sensazione che a te, che avrai trent’anni tra dieci anni, non importi nulla. Hai già swippato per passare alla prossima Instagram Stories. Altri quindici secondi che spariranno in 24 ore e che domani non ricorderà nessuno. Figurarsi cosa resterà di tutto questo nel 2030.
(Illustrazione in copertina di Francesco Collina per Giornalettismo)