Com’è finita (e cosa ci insegna) la storia di Facebook costretto a risarcire l’utente bannato per il post su Mussolini

Una sentenza del tribunale di primo grado aveva condannato il social network al pagamento di 15mila euro, l'appello riduce la pena a 3mila: ma il precedente è degno d'attenzione

30/12/2021 di Redazione

Erano state postate, in ordine, sul profilo di un avvocato bolognese che si era trasferito in provincia di Chieti, queste immagini: Benito Mussolini, un aviatore italiano, una dei profughi dalmati, una bandiera della Repubblica Sociale. In alcuni casi, il copy del post conteneva delle parole forti. Questo aveva avuto una sola conseguenza: Facebook banna l’utente e la sospensione dell’account dura almeno 120 giorni. Una vicenda non inusuale e che, nel caso specifico, si era verificata oltre un anno fa. In primo grado, il tribunale aveva costretto Facebook a risarcire l’utente con 15mila euro per i danni subiti. Ora, una sentenza della corte d’Appello del tribunale dell’Aquila ha ridimensionato la portata del risarcimento, passato a 3mila euro, ma ci ha comunque fatto riflettere sul significato di una sentenza che apre dei precedenti importanti per i rapporti che regolano le piattaforme social e gli utenti.

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Facebook banna utente che posta Mussolini e viene costretto a risarcirlo

La corte d’appello ha pubblicato la sentenza lo scorso 9 novembre – come riportato dal Sole 24 Ore. Dalle motivazioni si evince come ci si deve comportare nei casi in cui il social network decida di bannare un utente per i contenuti proposti sulla piattaforma. Innanzitutto, facciamo un excursus pratico e capiamo perché il risarcimento è stato ridotto da 15mila euro a 3mila euro: nella sentenza di primo grado molti più contenuti postati dall’utente erano stati ritenuti in linea con gli standard della community di Facebook. Nella sentenza d’appello i contenuti “leciti” per cui Facebook aveva bannato l’utente si sono ridotti (sono stati esclusi quei post in cui si interagiva con termini poco adatti nei confronti di altri utenti coinvolti nel dibattito).

Ma il tema è un altro: se il giudice dovesse rilevare che Facebook abbia bannato un utente per aver postato dei contenuti non effettivamente lesivi, il social network si può esporre alla condanna al pagamento di un risarcimento. Questo in virtù del fatto che l’iscrizione alla piattaforma rappresenta una sorta di contratto: se l’utente può sfruttare la visibilità offerta da Facebook, il social network, a sua volta, otterrà in cambio il trattamento dei dati personali dell’utente. Vi ricordate la formula Facebook è gratis e lo sarà sempre? Ecco, da questa sentenza lo si capisce ancora meglio: i dati personali non sono qualcosa a cui rinunciare a cuor leggero.

In virtù di questo scambio (uso della piattaforma vs utilizzo dei dati personali), la Corte d’Appello ha valutato che – sebbene gli standard della community siano vincolanti per l’utilizzo della piattaforma – Facebook deve accertarsi che gli standard siano effettivamente violati. E, a quanto pare, la Corte d’Appello dell’Aquila ha ritenuto che postare la foto di Mussolini «si limita all’espressione del proprio pensiero (…) non si ritiene sufficiente a violare gli standard della comunità». Così è, se vi pare.

Foto IPP/Andre M. Chang/ZUMA Press Wire

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