FABBRICA CAVANI, MAI CHIUSA PER FERIE – L’editoriale di Alfredo Pedullà

Se saltasse la Francia, inutile fare troppi giri di parole, per l’Uruguay sarebbe lutto (calcistico) nazionale. Edinson Cavani è il centravanti tra i centravanti, averlo o non averlo nei quarti di finale di un Mondiale non sarebbe precisamente la stessa cosa. Anzi, sarebbe come avere l’ombrello per ripararsi da qualsiasi temporale, oppure camminare a piedi scalzi mentre il diluvio imperversa. Non c’è troppa fiducia, l’infortunio è una cosa seria, psicologicamente sarebbe una bastonata. Perché il Matador ha dimostrato chi è: top assoluto, un esempio per il ragazzino di dieci anni che vuole fare il centravanti e non sa bene a chi ispirarsi.

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Edinson deve molto all’Italia: arrivò a Palermo con l’etichetta di attaccante esterno, se ne andò da Napoli con la cornice dorata dedicata al principe del gol. Lì, in mezzo all’area, da prima punta. Pur essendo un generoso come pochi, pur sbattendosi al servizio dei compagni, pur comprendendo la parola “sacrificio” che non compete a tutti quelli che dovrebbero soltanto buttarla dentro. In Italia il signor Cavani ci sarebbe potuto tornare alla vigilia del primo closing del Milan: in caso di fumata bianca, Mirabelli e Fassone si sarebbero imbarcati per Parigi, avevano fissato un appuntamento con il suo entourage alla vigilia del rinnovo. Gli avevano chiesto di aspettare, averlo in rossonero sarebbe stato il sogno tra i sogni. Poi quel closing Milan saltò, meglio fu rinviato, e così i due dirigenti rossoneri furono costretti a cancellare quel volo prenotato per Parigi. Non troppo tempo dopo, il prolungamento con il Paris Saint-Germain a cifre mostruose di ingaggio,  che rendono difficilissimo il ritorno in serie A. Un po’ perché lui aveva garantito che dopo l’esperienza con il Napoli non avrebbe tradito, molto perché la stessa Juve – che lo adora – sa che servirebbe una cassaforte strapiena. Ammesso e non concesso che il Psg, dopo questo Mondiale, sia davvero disposto a salutarlo.

Edinson Cavani
Edinson Cavani (URU), Foto by AFLO/Ansa/Nippon News

La performance con l’Uruguay ha detto una cosa chiara e semplice: se hai Cavani in squadra, lo devi valorizzare, accendere, responsabilizzare, alleggerire dalle tensioni. Al resto ci pensa lui. Il Psg quali indicazioni ha dato in questi anni? Prima c’era l’ombra di un pur sensazionale Ibrahimovic che lo aveva costretto a giocare defilato, quasi da attaccante esterno: lo può fare, ma di sicuro lo snaturi. Partito Ibra, ecco Neymar: sarebbe stata la perfetta quadratura se non fossero subentrate gelosie, invidie e altro ancora. Morale: prima Cavani voleva andar via per colpa di Ibra, ora gli sono rimasti in testa i modi un po’ così di Neymar che è arrivato a Madrid come se fosse l’unica primadonna in circolazione sulla faccia della terra. E il signor Edinson sarebbe diventato un due di briscola all’improvviso? Ecco le cose da chiarire perché sarebbe comunque folle per il Psg rinunciare a Cavani. E per vincere bisogna mettere mano agli altri reparti, non di sicuro all’attacco spaziale che hanno costruito. Se avete dimenticato un nome, vi aiutiamo: quali aggettivi sono  rimasti per descrivere un talento immenso come Mbappé? Ecco perché crediamo che alla seconda stagione della “formula tre” lì davanti il Psg non potrà che essere ancor più competitivo. E ha il diritto-dovere di trattenere il Matador.

Quando hai Cavani, lo coccoli e nulla più. Quando non ce l’hai più ti accorgi in fretta della sciocchezza che hai commesso. Lunga vita ai centravanti che fabbricano gol come se dovessero prendere un caffè al bar.

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