Europee 2019: in arrivo una grande coalizione e non è una buona notizia

C’era un tempo in cui, centrodestra e centrosinista, vale a dire popolari e socialdemocratici, si contendevano i parlamenti nazionali ed europei. Dal 2008 in poi questa dinamica si è annacquata in buona parte del Vecchio Continente. La crisi ha annientato partiti storici (si pensi ai socialisti francesi, o al PASOK greco), fatto emergere nuove forze politiche e costretto molti partiti tradizionali a scendere a patti con forze, in teoria antitetiche. Le ultime elezioni europee, in questo senso, potrebbero non fare eccezione.

Se non c’è stata la temuta onda sovranista, sia il Partito Popolare Europeo, che i socialisti hanno perso circa 40 seggi a testa, e al momento, è impossibile pensare a maggioranze plausibili senza ipotizzare una nuova larga coalizione. Un’evidenza dovuta soprattutto all’ottimo risultato raggiunto rispettivamente dai liberali e dai verdi: entrambe queste forze sono andate molto bene, ben oltre quanto pronosticato dai sondaggi. E se i popolari hanno già annunciato che chiederanno di allearsi nuovamente con i socialdemocratici,  questo scenario potrebbe non essere sufficiente. L’ipotesi più accreditata al momento è quella di una maggioranza formata da socialisti e popolari che inglobi anche l’ALDE, una dinamica inevitabile, ma che potrebbe ridare vento in poppa alle forze anti-sistema.

Crisi, grandi coalizioni e ascesa dei populisti

La crisi, come si è detto, ha rosicchiato il consenso elettorale dei partiti tradizionali, per una banale evidenza: molte persone hanno interpretato queste evidenza come il simbolo del fallimento di tutto ciò che li aveva preceduti (come dimostra larga parte della comunicazione leghista e M5S in Italia).

L'”emergenza” della governabilità, in uno scenario politico ormai mutato profondamente, l’opportunità di dare risposte immediate alla crisi finanziaria ed economica, il fronte comune contro sovranisti ed estrema destra: sono tutte istanze che hanno spesso portato, in vari parti del Vecchio Continente, alla costruzione di vere e proprie larghe coalizioni.

In Italia ne abbiamo assaggiato qualcosa durante il governo Monti e il governo Letta (2011 e 2013), in Germania l’alleanza tra socialdemocratici e popolari è in piedi dal 2013. Altri esempi di grandi coalizioni sono, ad esempio, gli esecutivi greci pre-Tsipras, con i governi Papademos e Samaras, negli anni difficili della crisi ellenica (2011-2015). Esempi di “fronti comuni” contro l’estrema destra, sono stati anche il secondo turno delle elezioni francesi del 2017, che hanno portato all’Eliseo Emmanuel Macron.

Il rischio è sempre lo stesso: attutire la conflittualità, essere percepiti come establishment, gonfiare i cosidetti “populisti” e anti-sistema, senza comprenderne realmente le ragioni. Il rischio è di erigere sempre un nuovo fortino per difendersi dai “barbari”, senza elaborare strategie diverse per comprenderne le ragioni o senza incarnare un contro-potere evidente, capace di dar voce agli sconfitti della globalizzazione. E la storia di questi anni ci insegna che è la sinistra a pagare spesso il prezzo più alto. E i risultati del voto di Parigi e Roma, non consente di dormire sonni tranquilli a nessuno. Nemmeno a Bruxelles.

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