C’era una volta l’Emilia Rossa: la corsa dei partiti in 50 anni di elezioni

“Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia”: così cantava Gaber nel primo verso di una canzone che è anche uno struggente “de profundis” a un’intera stagione politica e culturale. Sì perché l’Emilia Romagna è più di un simbolo per la sinistra italiana.  Ma anche la terra che ha visto nascere le prime leghe bracciantili e il mondo delle cooperative, che ha pagato il suo pesante tributo alla lotta al nazifascismo, che ha assistito all’egemonia quasi incontrastata del PCI prima e del centrosinistra poi, ha una data simbolica.  L’anno zero della sinistra italiana è il 2018 quando per la prima volta  nelle elezioni politiche, il centrodestra sorpassa, con il 33% delle preferenze il centrosinistra, mentre l’M5S diventa il primo partito staccando di misura il PD. Una debacle che investe tutta Italia, ma che nella “Stalingrado rossa” d’Italia è particolarmente scottante.

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Ma l’amaro risveglio della sinistra italiana non si ferma al 2018: nelle europee del 2019 la Lega diventa il primo partito in Regione. Con oltre il 33% delle preferenze sorpassa il PD che incassa il peggior risultato registrato in 20 anni di diverse incarnazioni di centrosinistra. Non si può parlare propriamente di coalizioni, perché nelle europee lo schieramento a Bruxelles dei salviniani è quello sovranista, e non quello del Partito Popolare Europeo, ma fossero state elezioni regionali o politiche, il centrodestra sarebbe arrivato al 44% delle preferenze contro poco più del 39% di un centrosinistra frammentato. Ma il risultato della Lega è eclatante per un partito che fino al 2008 era in Regione ampiamente minoritario.

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L’ascesa della Lega

Dalle legislative del 2008 l’ascesa del Carroccio è pressoché costante. Nel 2010 raggiunge il 13.6% nel corso delle elezioni regionali. I social sono ancora innocenti strumenti “ludici”, gli smartphone strumenti da appassionati di tecnologia, il leader indiscusso del centrodestra è ancora Silvio Berlusconi e alla segreteria del Carroccio c’è ancora Umberto Bossi, ma la Lega Nord diventa già, per la prima volta, un serbatoio indispensabile di voti per la destra in Emilia Romagna. Una situazione che migliora ulteriormente con la nuova segreteria di Matteo Salvini, quando il Carroccio si trasforma, da forza autonomista a partito politico improntato sul nazionalismo, il populismo e un’alta dose di euroscetticismo. La “lunga marcia” leghista termina nel 20189 con l’affermazione come primo partito della Regione. Uno shock nell’Emilia delle feste dell’Unità e delle Case del Popolo, ma solo se si mantiene lo sguardo al passato. Da vicino, anche limitandosi solo ai dati, il successo leghista assomiglia al coronamento di un lavoro politico e di una traiettoria elettorale che, in varie forme, contraddistingue la Regione da anni.

La geografia del voto

Dimenticate l’Emilia Romagna come blocco contatto. Se si volge lo sguardo alle Regionali del 2014 ci si accorge che molte aree sono passate completamente a destra, in maniera quasi uniforme. Come si intuisce dalla mappa a gradiente sotto, la provincia dove la destra ha ottenuto, nelle scorse elezioni regionali più voti, e la sinistra è arretrata maggiormente è quella di Piacenza. Qui il centrodestra è stato nel 2014 la prima coalizione con il 37% dei consensi, mentre la Lega Nord si era già affermata come primo partito di centrodestra con un sorprendente 21.7% In molti comuni del piacentino la coalizione di centrodestra ha superato la soglia del 50%: a Bettola, paese natale di Pierluigi Bersani ha raccolto il 61.4% dei consensi.

Ma il centrodestra  miete consensi anche nel ferrarese, soprattutto nei luoghi vittime del terremoto del 2012: a Bondeno ha ottenuto nel 2014 circa il 63.7% delle preferenze, a Finale Emilia (provincia di Modena) il 49% a Cento il 52%. In tutti i paesi la Lega è il primo partito con consensi molto rilevanti: a Bondeno ha ottenuto addirittura il 47% delle preferenze. Rimanendo nel ferrarese i consensi per la destra (e per la Lega) sono stati sostanziosi nelle aree del delta del Po’, a Comacchio, ma anche a Goro, comune salito alla ribalta delle cronache per la sollevazione popolare del 2017 contro l’arrivo di nuovi profughi.

La situazione cambia ulteriormente nelle europee del 2019, quando la destra, a trazione leghista conquista tutte le grandi roccaforti del centrosinistra. Nella provincia di Ferrara il Carroccio diventa il primo partito con il 41.9% dei voti, si consolida nella provincia di Piacenza con il record del 45.3% dei consensi, prevale a Rimini con il 36% e nel parmigiano con il 38% , vince in provincia di Forlì con il 34.3% , e perfino, di misura, nella provincia di Modena con il 33% dei consensi. Una sconfitta eclatante, specie se si volge l’occhio al passato della Regione.

C’era una volta il PCI: l’eccezione emiliana

Nell’Italia democristiana l’Emilia Romagna era una delle eccezioni irriducibili, rampa di lancio per una sinistra che, relegata costantemente all’opposizione sul piano nazionale, si scopriva anche forza di governo a livello locale. Il PCI ereditava l’antifascismo, le lotte bracciantili e operaie, l’esperienza delle prime cooperative che avevano contraddistinto la Regione, diventando in breve il fulcro della vita sociale ed economica della Regione. Una stagione contraddistinta da un riformismo e da un modello di Welfare destinato a fare scuola anche fuori i confini dell’Emilia Romagna. 

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Un dominio incontrastato quello del PCI, che dura per tutta la Prima Repubblica, fino al terremoto di tangentopoli e all’avvento delle coalizioni di centrosinistra. Quando il Partito Comunista Italiano si trasforma prima in PDS e poi in DS, quello della sinistra diventa un quadro molto più complesso e frammentato, ma comunque solido. Il PDS arriva nelle prime elezioni regionali della prima Repubblica (1995) al 43%, Rifondazione Comunista, neoformazione contraria alla svolta della Bolognina al 7,6%. Il punto più alto raggiunto dalle coalizioni di centrosinistra nelle varie elezioni regionali è quello ottenuto dall’Ulivo (48%) e dalla coalizione ulivista di Vasco Errani (62%) nelle regionali del 2005. Un successo reso possibile anche grazie 12% di consensi aggiuntivi provenienti da altre forze della sinistra (Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi) e di piccole percentuali aggiuntive provenienti da Idv e Udeur. Ed è proprio l’assottigliarsi delle percentuali della sinistra radicale a penalizzare negli anni il centrosinistra tout court.  Il peso della sinistra si ridimensiona fortemente nelle regionali del 2010 con meno del 5% di consensi convogliati da Rifondazione e Sel e si estingue quasi completamente nel 2014 con appena il 3.2% apportato da Sel (e il 3.7% del movimento “L’Altra Emilia Romagna” che però rimane fuori dalla coalizione di centrosinistra). Le forze alla sinistra del Partito Democratico rimangono frammentate e marginali, incapaci di mobilitare larghe fasce di militanti e potenziali elettori.
Una dinamica che fa da contraltare al calo drammatico dell’affluenza: alle elezioni Regionali del 2014 ha votato solo il 37% degli aventi diritto, un record negativo incredibile per una terra caratterizzata da una larga affluenza alle urne elettorali. Alzare quest’asticella è la sfida numero uno in vista del 26 gennaio. L’appello alla mobilitazione è appena cominciato.

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