Il caos dei due emendamenti che modificherebbero il Piracy Shield

All'inizio erano stati dichiarati inammissibili. Ora sono rientrati all'interno della discussione per l'approvazione del cosiddetto "decreto Omnibus"

26/09/2024 di Enzo Boldi

Sono stati riammessi, dopo esser stati dichiarati inammissibili, due emendamenti che potrebbero (qualora fossero approvati) modificare sostanzialmente i princìpi alla base del Piracy Shield. Sono in discussione al Senato, all’interno del cosiddetto “decreto Omnibus” e sono lo specchio di (possibili) decisioni politiche prese da chi non ha idea di come funzioni la rete. Due proposte che potrebbero cambiare l’intero ecosistema, ma in negativo. All’inseguimento di una (giusta e legittima) lotta alla pirateria audio-visiva, ma con molte sfaccettature che hanno l’amaro sapore del modello chiuso tipico della Cina (e di altre dittature).

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Entrambi questi emendamenti vedono come primo firmatario il senatore di Forza Italia Dario Damiani, supportato nella stesura di queste due proposte dai colleghi di maggioranza Guido Quintino Liris e Antonella Zedda (entrambi nelle fila di Fratelli d’Italia). Un bancario, un medico (epidemiologo) e un’assicuratrice. Queste le tre figure che hanno proposto questi cambiamenti che stravolgono l’utilizzo della rete internet in Italia. In attesa del voto del Parlamento.

Emendamenti Piracy Shield, cosa dicono

Ma cosa dicono questi due emendamenti? Partiamo dal primo, la “Proposta di modifica n. 6.0.35 al DDL n. 1222“. Ovvero la proposta di modificare una legge già approvata (la numero 93 del 2023) attraverso il voto al cosiddetto “decreto Omnibus”. E si parte immediatamente con una missione completamente folle, con la proposta di modificare una delle poche chiavi non contestabili all’interno del cosiddetto ddl anti-pirateria entrato in vigore nell’agosto del 2023:

«1) al comma 1 la parola “univocamente” è sostituita con la seguente “prevalentemente”».

Di cosa stiamo parlando? Si fa riferimento all’articolo numero 2 della legge 93/2023, ovvero quello che ordina ai prestatori di servizi internet di intervenire (sempre entro i 30 minuti dalla segnalazione) per «disabilitare l’accesso a contenuti diffusi abusivamente mediante il blocco della risoluzione DNS dei nomi di dominio e il blocco dell’instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP destinati univocamente ad attività illecite». Qualora passasse questa modifica, quel “univocamente” diventerebbe “prevalentemente”. Dunque, il rischio – cosa che, tra l’altro, è già accaduta – di bloccare interi IP che ospitano anche chi non commette attività illecite, provocando enormi problemi anche per gli “innocenti”.

Ma non c’è solamente questo. Oltre alla rimozione del limite dei blocchi di IP e FQDN (che, nella fase iniziale, era stata decisa per non congestionare la piattaforma) e oltre – seppur una cosa gravissima – alla definizione dell’onere delle prove di innocenza da parte di quei soggetti vittime dei blocchi senza aver commesso illeciti, c’è un altro aspetto paradossale racchiuso in due proposte di modifica al comma 3 e al comma 5, sempre dell’articolo 2 della legge 93/2023:

«3) al comma 3, primo periodo, dopo le parole “compresi i prestatori di servizi di accesso alla rete” inserire le seguenti “e i fornitori di servizi di VPN e quelli di DNS alternativi, ovunque residenti ed ovunque localizzati,”;
4) al comma 5, primo periodo dopo le parole “ai prestatori di servizi di accesso alla rete,”, inserire le seguenti parole: “compresi i fornitori di servizi di VPN e a quelli di DNS alternativi, ovunque residenti ed ovunque localizzati,”». 

Di fatto, dunque, si vogliono obbligare i fornitori di servizi VPN e di DNS alternativi (a Google?) di aderire alla piattaforma Piracy Shield e rispettare gli obblighi. Le VPN, per definizioni, rappresentano un modello non statico e ciò rende difficilissima (se non impossibile) l’identificazione dell’IP che sta trasmettendo illegalmente le partite di calcio di Serie A. Ma anche altro.

Il secondo emendamento

Ma non c’è solamente questo. Lo stesso trio di senatori che abbiamo citato all’inizio di questo approfondimento è anche il firmatario del secondo degli emendamenti Piracy Shield. Questa volta si chiede di modificare la legge numero 663 del 1941, la base normativa italiana per la tutela del diritto d’autore. Si tratta di una norma – soprattutto per le pene da comminare – che viene citata più volte all’interno della legge contro la pirateria audiovisiva entrata in vigore nell’agosto del 2023. Ma in cosa consistono le modifiche? Riportiamo integralmente il testo della “Proposta di modifica n. 6.0.36 al DDL n. 1222“, firmata da Damiani, Liris e Zedda che riguarda l’inserimento dell’articolo 174-sexies: 

  1. I prestatori di servizi di accesso alla rete, i soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell’informazione, ivi inclusi i fornitori e gli intermediari di vpn (virtual private network) o comunque di soluzioni tecniche che ostacolano l’identificazione dell’indirizzo IP di origine, gli operatori di content delivery network, i fornitori di servizi di sicurezza internet e di DNS distribuiti, che si pongono tra i visitatori di un sito, e gli hosting provider che agiscono come reverse proxy server per siti web, quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate condotte penalmente rilevanti ai sensi della presente legge, dell’articolo 615-ter o dell’articolo 640-ter del codice penale, devono segnalare, senza ritardo, all’autorità giudiziaria o alla Guardia di finanza tali circostanze, fornendo tutte le informazioni disponibili.

  2. I soggetti di cui al comma 1 non aventi sede legale o amministrativa in Italia e che offrono servizi a utenti stabiliti sul territorio nazionale devono comunicare, senza ritardo, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il proprio rappresentante legale in Italia.

  3. Fuori dai casi di concorso nel reato, l’omissione o il ritardo della segnalazione di cui al comma 1 e della comunicazione di cui al comma 2 sono puniti con la reclusione fino ad un anno. Si applica l’articolo 24-bis del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.”.

In particolare, fa molto discutere – e riflettere sul fatto che chi legifera non conosca le dinamiche di internet – un concetto specifico introdotto nella proposta con il comma 1 dell’articolo 174-sexies: la condanna per i fornitori di servizi di telecomunicazioni fino a un anno se non segnalano le attività illecite da parte di chi usufruisce dei loro servizi. Ma non vanno segnalati solo i comportamenti esplicitamente illeciti: basterà anche solo il “sospetto”. Un vero e proprio obbrobrio normativo.

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