Abbiamo fatto una chiacchierata con il primo laureato in Cyber security all’Università di Pisa

Emanuele Albertosi ha raccontato a Giornalettismo il corso di Laurea Magistrale all'Università di Pisa. Lui è stato il primo a conseguire il titolo nell'Ateneo toscano

08/09/2022 di Enzo Boldi

Il tema della cyber security, da alcuni anni, è diventato preminente anche nelle cronache italiane. Ogni giorno, molte testate giornalistiche (compreso Giornalettismo) e siti specializzati, raccontano e descrivono gli innumerevoli attacchi (o tentativi vari, non sempre a buon fine, fortunatamente) informatici subiti da aziende o istituzioni. Attacchi DdoS, ransomware, sistemi violati. Insomma, nel corso delle settimane queste iniziative portate a avanti da singoli o gruppi di hacker si sono moltiplicati. Ma tutto ciò porta la luce dei riflettori a spostarsi sulla situazione della Cyber security in Italia, in particolar modo sulle competenze, sulle persone e sulle personalità che hanno – per percorso professionale e accademico – migliorato e specializzato ancor di più un mercato di lavoro destinato proprio a opere di prevenzione e reazione a questo tipo di offensive. E ci sono anche corsi di Laurea, come quello concluso alla fine di luglio da Emanuele Albertosi all’Università di Pisa. Lui è stato il primo laureato nell’Ateneo toscano.

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Un corso di laurea in Informatica a Milano, poi un lungo percorso professionale iniziato in Accenture e proseguito in un’azienda di Internet Provider in quel di Massa-Carrara. Un professionista ICT che ha deciso di lasciare il suo posto di lavoro per inseguire la sua voglia, una vera e propria fame di conoscenza, di aggiornarsi e approfondire a livello sia teorico che pratico tutto ciò che concerne il tema della sicurezza informatica (in tutte le sue sfaccettature) lo ha portato a iscriversi al neonato (nel 2020) corso di Laurea Magistrale in Cyber Security all’Università di Pisa. E lì ha fatto la storia del suo Ateneo, diventando il primo a laurearsi in quell’ambito. E al termine del suo percorso, ha conseguito il titolo presentando e discutendo una tesi su una applicazione di realtà aumentata per garantire la sicurezza informatica.

Uno studio che parla di un futuro che in realtà è già presente. «Dopo aver lavorato per circa 20 anni in diverse aziende – ha raccontato Emanuele Albertosi a GTT – ho deciso di iscrivermi a quel corso di Laurea Magistrale a Pisa. Era da un po’ di tempo che cercavo di concludere quel mio percorso iniziato con la Triennale in informatica a Milano, anche perché la cyber security è diventata un argomento fondamentale per capire, prevenire e risolvere molti dei fattori di questo nuovo mondo che basa quasi tutto sul digitale e le sue declinazioni. Perché Pisa? A differenza di altri corsi già presenti, questo è stato un percorso di due anni, strettamente legato all’ingegneria». Un fattore distintivo, in grado di unire la parte (necessariamente) teorica e quella pratica. Perché per affrontare le sfide sulla sicurezza di oggi e di domani occorre avere un’integrazione tra tutti i rami di questo albero: dai software agli hardware, dalla capacità di prevenire eventi dannosi a quella di saper reagire in caso di attacco. Passando anche per un altro aspetto: quello legale.

Emanuele Albertosi, il primo laureato in Cyber Security a Pisa

Il corso, dunque, è molto articolo. Specialistico. Specializzante. Nel corso del biennio, non ci sono state solamente lezioni pratiche e teoriche, ma anche workshop e seminari in azienda proposti dall’Ateneo ai suoi studenti. Insomma, Emanuele Albertosi ha affrontato questo suo percorso vivendo una vera e propria full immersion approfondita su una tematica che riguarda il presente e il futuro. Fino alla laurea conseguita lo scorso 26 luglio. E ora, mentre è alla ricerca di un’occupazione, continua a studiare: «Non ho ancora trovato un posto di lavoro, ma forse è prematuro lanciare un allarme sul settore. Ho 45 anni (che non sono trascorsi invano vista la sua esperienza maturata durante gli anni trascorsi nelle aziende, ndr) e l’età non va a mio vantaggio. Inoltre, l’aver concluso il mio percorso accademico in estate ha sicuramente rallentato il tutto».

Abbiamo provato a chiedere un suo commento su un paradosso: in Italia il tema della cyber security è diventato preminente e di strettissima attualità, con tanto di annunci (dialettici) sulla necessità di avere persone già pronte per essere inserite nel settore in questo mondo lavorativo in espansione. Ma Emanuele Albertosi ci ha spiegato quella che è una sua idea su quello che potrebbe essere uno “fusibile bruciato” che rischia di interrompere il mercato tra domanda e offerta: «La cyber security ha bisogno di basi fortissimi ed è un ambito molto eclettico e variegato. C’è chi si deve occupare delle analisi preliminari, chi dei bug, chi delle “reazioni” e del “come attivarsi” per risolvere i problemi derivanti da offensive informatiche. E questo porta, come conseguenza, a quello che sembra essere un inevitabile assioma: le aziende attendono che il mercato del lavoro offra loro delle persone già formate nelle varie specializzazioni». Insomma, il rischio è che la Laurea – nonostante la sua natura “specializzante” – non sia in grado di fornire una specializzazione ben definita su uno dei tanti aspetti di questo universi eclettici. Dunque, formati sì ma non specializzati in un mini-ambito di un macro-ambito.

Gli italiani e la cyber security

E a livello “pubblico”? Emanuele Albertosi ci ha detto che qualche mese prima della discussione della sua tesi di Laurea e del conseguimento del titolo Magistrale, era stato pubblicato un bando per la ricerca di esperti di Cyber security. Non avendo ancora tra le mani la sua Laurea, non ha potuto partecipare. Ma ci saranno nuove occasioni, visti anche gli annunci fatti nei mesi scorsi dal numero uno del Dicastero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, che sta per concludere (a meno che il nuovo governo non decida di confermare la sua figura alla guida del Ministero) la sua esperienza con la fine dell’esecutivo e le prossime elezioni per la formazione del nuovo Parlamento (e di conseguenza del nuovo governo) in programma domenica 25 settembre.

In attesa che qualcosa si muova, abbiamo chiesto a Emanuele Albertosi di farci una fotografia sulla situazione della cyber security in Italia: «Il nostro Paese non è indietro, c’erano organismi già presenti che poi sono stati resi “ufficiali” adottando e adattandosi alle normative dell’Unione Europea sui temi della sicurezza informatica. Negli ultimi mesi c’è molto più interesse su questo argomento, anche per via degli allarmi e sei tentativi a volte riusciti di attacchi informatici. Ma l’Italia ha una buona organizzazione, sia dal punto di vista dell’azione che della prevenzione». Ma c’è un tasto dolente in tutto ciò: molti cittadini ancora non hanno coltivato l’idea dell’uso consapevole del mezzo. Per mezzo si intendono i nostri device: dai pc agli smartphone, passando per i tablet e tutti quegli strumenti digitali perennemente connessi alla rete (includendo anche i sistemi di domotica, sempre più in voga): «Occorre trasmettere dei messaggi per far crescere la consapevolezza sui rischi. Perché il principio della sicurezza informatica deve entrare nelle nostre vite per renderci più attenti e innescare quello stesso meccanismo automatico che ci porta a indossare la cintura di sicurezza ogni volta che ci mettiamo alla guida di un’automobile. Servirebbero campagne di promozione sull’uso consapevole dei nostri dispositivi, partendo dalle scuole per arrivare fino alle famiglie e agli adulti che fanno parte di questo mondo sempre connesso. Perché in Italia siamo circa 60 milioni di cittadini, quindi c’è un potenziale di almeno 60 milioni di porte aperte». Porte informatiche lasciate aperte attraverso l’uso non completamente consapevole dei nostri device. Strumenti attraverso i quali, se non si è protetti adeguatamente o si compiono azioni non sicure, mettono a rischio l’ecosistema della rete.

(foto di copertina: da pagina Facebook dell’Università di Pisa)

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