Perché le elezioni di metà mandato sono importanti e spaventano Trump
06/11/2018 di Gaia Mellone
Le elezioni di metà mandato si tengono una volta ogni 4 anni, per tradizione il primo martedì di novembre, e servono a rinnovare i membri del Congresso e alcuni governatori degli Stati. Le tempistiche non sono casuali: si vota sempre dopo i primi 2 anni di mandato presidenziale. Una forma di garanzia democratica, per rinforzare l’appoggio delle camere al presidente o viceversa, indebolirlo. Quelle di quest’anno sono le prime dall’elezione di Donald Trump e, vista la perdita di consenso che lo sta investendo, potrebbero mettergli i bastoni tra le ruote.
Elezioni di Mid-Term, perché la situazione attuale potrebbe cambiare
I Repubblicani al momento hanno la maggioranza in entrambe le Camere, dando alla parola “opposizione” un significato molto relativo. Con le votazioni di stanotte però, molto potrebbe cambiare, almeno secondo i sondaggi. Gli equilibri su cui The Donald ha potuto contare fino ad oggi potrebbero essere profondamente alterati, dando vita ad un Congresso ben più variegato. Stavolta infatti c’è un boom di candidate donne: 272 su 964 nomine, di cui 84 sono donne di colore, un 42% in più rispetto al 2014. In lizza ci sono anche latini, musulmani, ispanici, asiatici, afroamericani e appartenenti alla comunità LGBTQ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender e Queer). Praticamente, il peggior incubo del Presidente, che nei suoi anni di mandato ha rimesso in discussione leggi su aborto, immigrazione e identità di genere. Per ottenere la maggioranza alla Camera i democratici dovranno guadagnarsi minino 23 deputati in più: un risultato che secondo i sondaggi è probabile. Più spinosa la questione del Senato, perché verranno messi in discussione solo 35 seggi, e le previsioni in questo caso danno per vincenti i repubblicani. È anche vero che i sondaggi a suo tempo avevano dato per perdente Donald Trump, e sappiamo tutti come è andata a finire.
Non solo elezioni per il Congresso
In palio ci sono tutti i 435 seggi della Camera, il cui mandato è di due anni, un terzo dei 100 membri totali del Senato, in questo caso 35, che hanno un mandato di 6 anni (ogni due anni se ne rinnova un terzo). Si vota però anche per 36 dei 50 governatori di altrettanti stati Usa e migliaia di amministrazioni statali e locali, compresi i sindaci di molte città. I primi seggi a chiudere saranno quelli del Kentucky e l’Indiana, dove a correre per il senato sono l’attuale senatore democratico Joe Donnelly, e il repubblicano Mike Braun. A seguire ci saranno Florida e Georgia, forse tra le sfide più interessanti perché potrebbero davvero cambiare la storia con delle “prime volte”. In Florida il governatore repubblicano Ron DeSantis, grandissimo sostenitore del presidente, dovrà vedersela con il sindaco afroamericano di Tallahassee Andrew Gillum, che potrebbe diventare il primo governatore di colore nella storia dello Stato. In Georgia Brian Kemp dovrà vedersela con Stacey Abrams, potenzialmente data dai sondaggi come la probabile prima governatrice afro-americana negli Stati Uniti. E in Michigan la democratica Rashida Tlaib potrebbe a sua volta scrivere la storia, diventando la prima donna musulmana al Congresso. Sfide simili, che vedono i repubblicano confrontarsi con avversari quasi simbolici sono in Ohio, Wisconsin, Iowa e Nevada.
In alcuni stati ci sarà anche una consultazione referendaria su temi come aborto, tasse, salario minimo ed energia, oltre che sulla legalizzazione della marijuana. Se in North Dakota e in Michigan la proposta è di rendere la droga leggera legale per uso ricreativo, in Utah e Missouri il quesito è posto sullo scopo medico-sanitario.
Agli Americani interessano davvero le elezioni di metà mandato?
Solitamente, l’affluenza americana alle urne non è molto alta: per fare un paragone, alle presidenziali del 2008 si è registrato un 58% di affluenza, ma la media per le elezioni di midterm si aggira ad un 40%. Nonostante non si parli di percentuali particolarmente alte, le elezioni di metà mandato hanno sempre portato ad una perdita di seggi per il partito del Presidente, con la grande eccezione di George W.Bush, che invece ha visto una conferma nel 2002 complice anche ò’ondata di terrore successivo agli attentati dell’11 settembre. Se la storia insegna, Trump era già destinato a perdere qualche seggio, ma a giudicare dalla rosa di candidati di quest’anno dati per vincenti, il danno potrebbe essere molto più grande del previsto. Complici anche i diversi appelli lanciati delle celebrities a recarsi alle urne: la cantante Taylor Swift, che può contare su una delle fanbase più forti del mondo della musica pop, per la prima volta si è esposta pubblicamente parlando di politica, e da allora le sue Instagram stories sono affollate di giovani che le mandano i selfie con l’adesivo o la spinetta “I voted”. A seguire anche gli appelli di Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Oprah Winfrey, Rosario Dawson, Zoe Saldana, Eva Longoria, America Ferrera e Gina Rodriguez. Considerando che l’attuale presidente è famoso anche come star televisiva, essendo stato il protagonista del reality The Apprentice, potrebbe succedere che dove non arriva la politica, forse arriverà lo Star System.
(Credits immagine di copertina by Olivier Douliery/ABACAPRESS.COM)