Quirinale, Renzi e il fantasma dei 101: «Basta con gli errori del passato»

Per Palazzo Chigi è stato soltanto un gesto di «cortesia istituzionale», per i dietrologi non certo un caso in vista dell’elezione del presidente della Repubblica. Non è certo sfuggita la partecipazione al brindisi natalizio dem di Pier Carlo Padoan, unico ministro non Pd presente alla terrazza del Nazareno e da giorni indicato tra i possibili successori di Giorgio Napolitano al Colle. Così come non ha stupito l’assenza dell’ala più radicale della minoranza dem, da D’Alema a Fassina, fino a Cuperlo e Civati e Bindi. Quella che non ha mai digerito l’intesa stipulata da Matteo Renzi con Silvio Berlusconi sulle riforme e la legge elettorale, né intende lasciare che nella grande partita del Quirinale siano i due leader e “contraenti” del Patto a decidere. Pronta, secondo i fedelissimi del premier, a rievocare il fantasma dei 101, questa volta nella formula “anti-nazarena”. Magari, agitando proprio la “carta” Prodi, che della congiura ordita il 19 aprile 2013 nel segreto dell’urna (e dai mandati ed esecutori rimasti anonimi) fu la “vittima sacrificale”.

Manca ancora più di un mese al voto del Parlamento in seduta comune per il Quirinale, ma è sempre il rischio di una remake di quella pagina oscura a tormentare Renzi e i suoi più stretti collaboratori. Al di là della sicurezza ostentata («Troveremo un nome che piace a tutti»), quasi a voler esorcizzare l’incubo di frondisti e potenziali franchi tiratori, il premier è consapevole che sarà un passaggio delicato della sua legislatura. Una partita attesa da una parte delle minoranze che sogna la rivalsa contro il segretario. Quasi un congresso anticipato. Non è un caso che anche nel brindisi di Natale Renzi si sia appellato al «senso di responsabilità», “avvertendo” il partito: «Abbiamo a disposizione 460 grandi elettori, diamo noi le carte. Non commettiamo gli errori del passato». Ma è chiaro che la copertura del voto segreto sarà un’occasione troppo “allettante” per chi vorrebbe far saltare Renzi e il patto del Nazareno. E impedire che nella poltrona del Colle trovi posto un “garante del governo” (e dell’intesa con il leader azzurro). Un identikit che preoccupa sia la sinistra Pd che i frondisti “fittiani” di Forza Italia.

Quirinale elezioni

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QUIRINALE, LA PARTITA A SCACCHI PER L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA –  Quel che è certo che è l’elezione del Colle sarà una partita con diverse incognite. Giocata – sembra ormai chiaro – nella “cornice” dell’intesa del Nazareno, allargata a Ncd e centristi. Al massimo, con qualche voto recuperato da qualche transfuga a 5 Stelle, con il Movimento ormai in piena diaspora. Il rischio che Renzi vuole allontanare? Una paralisi dei lavori parlamentari, sotto i colpi dei franchi tiratori, con un voto trascinato per settimane. Non è un caso che i pontieri renziani, dal sottosegretario Luca Lotti al vicesegretario Lorenzo Guerini, stiano cercando di sondare gli “umori” del partito. Parlamentare per parlamentare, per allontanare la minaccia.

Romano Prodi lascia Palazzo Chigi dopo l'incontro con Matteo Renzi

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Renzi, giocando d’anticipo, ha già incontrato Prodi, nel tentativo di allontanare i rischi di una candidatura troppo “ingombrante”, sbandierata contro di lui. L’aveva evocata Civati, l’ha rilanciata Nichi Vendola. Ma è chiaro che il nome del fondatore dell’Ulivo non sia compatibile con il patto del Nazareno. Nei confronti del Professore c’è l’opposizione personale del Cav. Non certo eliminata dopo l’apertura dello stesso Berlusconi a Renzi dalle pagine di “Repubblica“. «Niente veti da parte nostra, nemmeno su un candidato Pd», ha spiegato l’ex premier, rivendicando un’unica pregiudiziale. Ovvero, che sia un «candidato garante di tutti e non solo di una parte». Un profilo che per Berlusconi non risponde certo a quello di Prodi. Con il suo storico “avversario” al Colle, anche l’ambizione di recuperare la “piena agibilità” diventerebbe una chimera. Quindi, è il pensiero del Cav, meglio un nome “non ostile” del Pd, che rischiare di trovarsi Prodi come successore di Napolitano. Magari qualcuno che, come Pierluigi Castagnetti o Sergio Mattarella (altri nomi rilanciati nel toto-Quirinale) non venga dalla tradizione Ds. O, al massimo, uno come Piero Fassino, non certo tra i più sgraditi di quell’area.

QUIRINALE, IL FRONTE DELLA DISSIDENZA AZZURRA – Anche perché, è chiaro, non è certo Berlusconi a dare le “carte” nella grande partita del Colle. Il Cav è costretto pure a difendersi, non controllando più di un terzo dei gruppi parlamentari. In quaranta “rispondono” al dissidente pugliese Raffaele Fitto, che insidia il potere di Arcore e pretende che la creatura berlusconiana venga “democratizzata” con le primarie, ridiscutendo cariche e gerarchie. È l’altro fronte del partito trasversale anti-Nazareno, con un potenziale (in possibile aumento) di una quarantina di “ribelli” pronti a contarsi nel segreto dell’urna, se sarà necessario “forzare” la mano.

A poco è servito il pranzo di Arcore tra il Cav e gli europarlamentari azzurri, con il “parroco di Lecce” (come lo bollò il Cav) tra i commensali, se non a confermare la “guerra fredda” tra i due. E c’è un’immagine del pranzo, postata sul profilo Twitter della collega Lara Comi, che sembra quasi “simbolica”. Con Fitto quasi invisibile nelle retrovie. Dietro le quinte. Proprio come, temono i berluscones, potrebbe accadere nella partita del Colle, nel tentativo di affossare il Nazareno e la strategia del leader. Sarebbe un problema anche per Renzi, che non si fida della tenuta di Forza Italia. Il Cav avrebbe garantito al premier una novantina di voti, ma l’implosione di Fi è un rischio reale. Per questo per il premier è prioritario provare a compattare prima il suo partito. Per evitare di emulare gli errori di Bersani e allontanare le ombre del passato. Nella speranza di chiudere presto la partita. Magari già dal quarto scrutinio, quando “basteranno” 505 voti per eleggere il successore di Napolitano. Meno di 50 preferenze in più rispetto ai delegati a disposizione del Pd. Almeno in teoria.

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