Egitto: aumenta il clima di intimidazione in vista delle elezioni presidenziali

Il 2018 sarà un anno ricco di elezioni per il Medio Oriente: 15o milioni di cittadini arabi tra Egitto, Tunisia, Iraq, Kurdistan, Libano e (forse) Libia si recheranno infatti alle urne.

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Al Cairo il clima in vista delle presidenziali del 26 marzo è più teso che mai. L’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani Zeid Raad al-Hussein parla di arresti, torture dei detenuti e di mezzi d’informazione indipendenti “messi a tacere”. In nome della sicurezza nazionale, il presidente al-Sisi ha varato una linea di governo ancora più dura verso i media vietando la pubblicazione di molti argomenti sensibili.

Il quarto mandato del generale protagonista del colpo di Stato del luglio 2013 è alle porte, ma non per questo ha allentato la sua morsa nel Paese. Il 23 gennaio scorso, in vista dell’anniversario della rivoluzione che ha portato alla fuga dell’ex presidente Hosni Mubarak, è stato arrestato uno dei suoi avversari più credibili, l’ex generale Sami Anan, con l’accusa di aver preservato la propria carica militare e “falsificato i documenti necessari alla candidatura”.

Al-Hussein ha commentato l’attuale situazione che sta vivendo l’Egitto: “I potenziali candidati hanno subito pressioni che li hanno costretti a ritirarsi, alcuni sono stati anche arrestati. I legislatori hanno impedito ai candidati e ai loro sostenitori di organizzare eventi. I media indipendenti sono stati messi a tacere, con oltre 400 siti di informazioni e di ong completamente bloccati”.

A inizio 2018 è uscito anche il rapporto di Amnesty International che ha tracciato un bilancio molto negativo del Paese:

La crisi dei diritti umani in Egitto non ha accennato a migliorare. Le autorità hanno fatto ricorso a tortura e altri maltrattamenti e sparizioni forzate ai danni di centinaia di persone, oltre a compiere impunemente decine di esecuzioni extragiudiziali. Il giro di vite nei confronti della società civile ha raggiunto l’apice, con personale di Ngo sottoposto a ulteriori interrogatori, divieti di viaggio e congelamento dei beni. Gli arresti e le detenzioni arbitrari, in seguito a processi gravemente iniqui, nei confronti di persone critiche verso il governo, manifestanti pacifici, giornalisti e difensori dei diritti umani erano la norma. Sono proseguiti i processi collettivi davanti a tribunali civili e militari, con decine d’imputati condannati a morte. Le donne hanno continuato a subire episodi di violenza sessuale e di genere e a essere discriminate nella legge e nella prassi. Le autorità hanno continuato a perseguire penalmente persone per accuse di diffamazione della religione e “indecenza”, sulla base del loro reale o percepito orientamento sessuale.

(Foto credits: Ansa)

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