Storie della Resistenza. L’eccidio del ponte di Ferro a Roma

25/04/2019 di Enzo Boldi

Tra le pagine più cupe che hanno portato alla Liberazione dell’Italia, che si celebra ogni anno il 25 aprile, ce ne sono molte che sono rimaste quasi sconosciute ai più e che trovano poco spazio sui libri di storia. Tra le meno note c’è l’eccidio del ponte di Ferro (o ponte dell’Industria), il viadotto romano che unisce Ostiense e Marconi. Proprio lì, il  7 aprile del 1944, dieci donne persero la vita sotto i colpi delle armi delle truppe naziste che decisero – come spesso accadeva all’epoca – di giustiziare tutti coloro i quali si opponevano alla loro occupazione. La colpa delle dieci vittime era quella di esser state fermate mentre avevano in mano del pane e della farina, dopo che alcuni forni romani – che avevano l’obbligo di rifornire i soldati tedeschi – vennero assaltati nei giorni precedenti.

E fu lì, a pochi metri dal ponte, che le dieci donne vennero giustiziate pubblicamente dalle Schutzstaffel – le SS tedesche – per scoraggiare gli altri a intraprendere manifestazioni di protesta come quella avvenuta nel forno Tesei. Falsetti Clorinda, Ferracci Italia, Ferrante Elvira, Fiorentino Eulalia, Giardini Elettra Maria, Izzi Assunta Maria, Loggreolo Silvia, Pellegrini Esperia, Piazza Concetta, Pistolesi Arialda: questi i nomi (seppur la storia non li ha mai confermati tutti) delle dieci donne uccise sotto i colpi delle truppe naziste che, oltretutto, vietarono ai familiari di recuperare i loro corpi per tutta la giornata del 7 aprile. Un gesto per mostrare i muscoli e far capire a cosa sarebbero andati incontro tutti quelli che avevano intenzione di intraprendere azioni simili.

La storia dell’eccidio del Ponte di Ferro a Roma

In quei giorni a Roma, e non solo, era in corso la cosiddetta ‘rivolta del pane’. Ai cittadini italiani, infatti, era stata ridotta la razione quotidiana che aveva ridotto a soli 100 grammi la quantità di prodotti da forno a loro destinati. Il tutto era stato deciso dal generale Kurt Mälzer che, il 26 marzo del 1944 – a pochi giorni dall’eccidio del Ponte di Ferro -, emanò un’ordinanza per diminuirne la quantità destinata ai comuni cittadini. La scelta dell’esercito nazista provocò un enorme malcontento e, giorno dopo giorno, aumentarono le tensioni e diversi panifici – da Nord a Sud della capitale – vennero presi d’assalto. Si iniziò con il Forno di via Tosti (in zona Appia) il 1° aprile di quell’anno, fino ad arrivare a quello del Tiburtino III per cui venne uccisa una donna: Caterina Martinelli, madre di sette figli.

Ed è nel mezzo di queste proteste che va a inserirsi la tragica storia dell’eccidio del Ponte di Ferro. Era il 7 aprile del 1944 e il forno Tesei, in zona Ostiense, venne preso d’assalto per riuscire a portarsi a casa un po’ di pane in più rispetto al razionamento coatto deciso dai generali nazisti. Una lotta di resistenza pagata a caro prezzo da dieci donne che vennero sorprese con in mano del pane e della farina da parte dei soldati tedeschi. La decisione di ucciderle fu immediata e brutale: furono fatte appoggiare lungo le transenne del ponte, le obbligarono a guardare in direzione del fiume Tevere e vennero fucilate una dopo l’altra.

La rivolta del pane e le dieci donne giustiziate

L’episodio, ricordato come uno degli episodi più emblematici della resistenza non armata, è stato raccontato dallo storico Cesare De Simone che nel suo ‘Donne senza nome’, pubblicato nel 1998 (edito da Mursia), racconta quella tragica giornata dell’eccidio del Ponte di Ferro:

Una folla di donne e ragazzini dà l’assalto al forno Tesei, dove è anche un deposito di pane per i rifornimenti alle truppe tedesche di stanza a Roma. Intervengono SS e militi della GNR, dieci donne vengono afferrate di forza, portate sul ponte e abbattute a raffiche di mitra contro la spalletta di ferro.

Nel saggio di De Simone è riportato anche il ricordo di Carla Capponi, ex membro del Gap (Gruppi di Azione Patriottica) che poi divenne parlamentare del PCI, deceduta nel 2000. Nelle sue memorie, lei racconta:

Le donne dei quartieri Ostiense, Portuense e Garbatella avevano scoperto che il forno panificava pane bianco e aveva grossi depositi di farina. Decisero di assaltare il deposito che apparentemente non sembrava presidiato dalle truppe tedesche. Il direttore del forno, forse d’accordo con quelle disperate o per evitare danni ai macchinari, lasciò che entrassero e si impossessassero di piccoli quantitativi di pane e farina. Qualcuno invece chiamò la polizia tedesca, e molti soldati della Wehrmacht giunsero quando le donne erano ancora sul posto con il loro bottino di pane e farina. Alla vista dei soldati nazisti cercarono di fuggire, ma quelli bloccarono il ponte mentre altri si disposero sulla strada: strette tra i due blocchi, le donne si videro senza scampo e qualcuna fuggì lungo il fiume scendendo sull’argine, mentre altre lasciarono cadere a terra il loro bottino e si arresero urlando e implorando. Ne catturarono dieci, le disposero contro la ringhiera del ponte, il viso rivolto al fiume sotto di loro. Si era fatto silenzio, si udivano solo gli ordini secchi del caporale che preparava l’eccidio. Qualcuna pregava, ma non osavano voltarsi a guardare gli aguzzini, che le tennero in attesa fino a quando non riuscirono ad allontanare le altre e a far chiudere le finestre di una casetta costruita al limite del ponte. Alcuni tedeschi si posero dietro le donne, poi le abbatterono con mossa repentina “come si ammazzano le bestie al macello”: così mi avrebbe detto una compagna della Garbatella tanti anni dopo, quando volli che una lapide le ricordasse sul luogo del loro martirio. Le dieci donne furono lasciate a terra tra le pagnotte abbandonate e la farina intrisa di sangue. Il ponte fu presidiato per tutto il giorno, impedendo che i cadaveri venissero rimossi; durante la notte furono trasportati all’obitorio dove avvenne la triste cerimonia del riconoscimento da parte dei parenti.

La targa posta all’entrata del ponte

La storia dell’eccidio del Ponte di Ferro, ricordata anche da un un piccolo monumento con una targa in bronzo posto all’ingresso del viadotto (dal lato di dia del Porto Fluviale) realizzata dall’artista Giuseppe Michele Crocco: «In ricordo delle dieci donne uccise dai nazifascisti il 7 aprile 1944».

Poche parole e volti tutti uguali e simboleggiare una violenza inaudita. Tutto ciò è quel che deve rimanere nella mente di ogni cittadino italiano e nella storia, in memoria di chi ha lottato, senza armi, per difendere l’Italia dall’invasione nazista.

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