Nei giorni precedenti a Capitol Hill, Facebook non è riuscito a fermare la galassia di “Stop the steal”

Testimonianze interne spiegano i movimenti delle persone sul social network prima dell'assalto al Campidoglio

24/10/2021 di Redazione

Il 5 gennaio, 24 ore prima dell’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Donald Trump, alcune comunicazioni interne a Facebook da parte dei dipendenti avevano mostrato una certa frustrazione nei confronti dei comportamenti che la società stava avendo verso più gruppi di persone che, attraverso la circolazione di false informazioni, stavano contribuendo ad accendere gli animi. Il preambolo rispetto a quanto sarebbe accaduto il giorno dopo, con la sede istituzionale di Washington presa d’assalto da alcuni manifestanti violenti e – allo stesso tempo – improbabili. Sono altre rivelazioni dall’interno che dimostrerebbero come Menlo Park abbia sottovalutato il problema della disinformazione politica su Facebook e di come questo abbia poi scatenato una reazione anche offline senza precedenti (l’assalto a Capitol Hill, appunto).

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Disinformazione politica su Facebook, un altro documento rivelatore

C’era un grande gruppo di disinformazione, denominato Stop the stealBene, su questo Facebook – con il suo team di moderazione – era riuscito a intervenire, bloccandolo. Ma aveva ignorato la galassia di piccoli gruppi e pagine che, con lo stesso scopo, stavano proliferando nelle ore immediatamente successive al blocco (sembra quasi di rivivere i momenti che stiamo attraversando con i canali Telegram no-vax e no-green pass in Italia: si chiude il principale, ma nel frattempo ne sono stati attivati già altri più piccoli, dove il messaggio di fondo si amplifica ugualmente).

Secondo quanto riportato da gruppi editoriali come il NY Times e il Washington Post – che hanno avuto modo di visionare una serie di documenti interni -, 137 «super ospiti» comparivano in questi gruppi paralleli a Stop the steal e alcuni di questi erano arrivati a invitare 500 persone. Dunque, una proliferazione a macchia d’olio, che Facebook non ha fermato. La sensazione è che Facebook, dopo aver imposto una stretta ai contenuti politici prima delle elezioni Usa del novembre 2020, avesse mollato la presa nelle settimane successive. Nonostante il social network avesse individuato in alcuni attivisti e personaggi politici una delle maggiori fonti di disinformazione, avrebbe continuato a tutelare le loro attività sul social network dopo le elezioni, per timore di alterare eccessivamente le interazioni e le forme di utilizzo della piattaforma. Ancora una volta, Facebook doveva andare avanti: anche a costo di chiudere un occhio sulla disinformazione che si stava diffondendo sul social network.

Anche il post mortem dell’assalto a Capitol Hill – che i giornalisti di diverse testate americane hanno visionato – dimostra come Facebook, il 7 gennaio, fosse a conoscenza del fatto che i post di violazione delle proprie policies erano aumentati di 7 volte rispetto ai giorni precedenti. Nonostante questo, nei giorni successivi a Capitol Hill Facebook dichiarò che la responsabilità delle violenze era da ricollegare a piattaforme social più piccole, più verticali e con politiche meno stringenti rispetto alla pubblicazione di determinati contenuti di disinformazione.

Foto IPP/zumapress – Washington

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