Di chi sono i miei dati?

Questa è la domanda che vi dovete fare ogni volta che volete ottenere un servizio a vostro nome. Non importa quale esso sia e in qualche forma avete acconsentito, cartacea o digitale, state fornendo qualcosa di vostro e personale a soggetti terzi che devono garantire la vostra sicurezza.

Se state leggendo questo articolo è chiaro che dobbiamo toccare per lo più la sfera del digitale, ma è bene ricordarci che a cambiare è il mezzo e non le persone. Nella vita di tutti i giorni, così come quella online, se vi offrono un servizio gratuito in realtà vogliono comunque qualcosa da voi.

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In questi giorni un “black hat” (il nome corretto da dare ad un hacker malintenzionato) è tornato a farsi sentire in maniera prepotente e invasiva sulla piattaforma del Rousseau del Movimento 5 Stelle. Stiamo parlando di R0gue_0, lo stesso che dall’anno scorso ha creato solo danni non solo alla piattaforma, ma anche ai suoi gestori e gli stessi iscritti che dovrebbero preoccuparsi. Quanti degli iscritti a Rousseau sono sicuri che il proprio voto non sia stato manipolato dal delinquente digitale? Soprattutto, quanti di loro sono sicuri che i dati che hanno fornito non siano in possesso di un partito avversario o di uno stato estero?

R0gue_0 aveva pubblicato una tabella del database con sette donazioni alla piattaforma, somme modeste da parte di altrettanti iscritti. Oltre alle somme c’erano il loro nominativi e le loro email in chiaro. Interpellati da Martina Pennisi del Corriere, uno di questi aveva risposto che sono cose che possono accadere e che la diffusione dei dati non è un problema. R0gue_0 aveva pubblicato anche i numeri di cellulare di due omonimi di Luigi Di Maio, uno di questi ha denunciato pubblicamente telefonate anonime e messaggi Whatsapp indesiderati. Non solo, un delinquente potrebbe usare proprio quei nomi, cognomi e email per registrare domini utili a raccogliere dati illegalmente o truffare qualcuno addossando loro le colpe. Non bisogna affatto sottovalutare il problema, mai!

Torniamo sempre e comunque a parlare di una fiducia di cui dovrete tenere conto e fino a che punto darla. Certamente è una visione “paranoica” quella che vi racconto, ma è proprio questa predisposizione a fidarsi troppo che può trarre in inganno. Ad esempio, da qualche settimana su Twitter ci sono utenti che si lamentano di “like” mai fatti a personaggi che neanche seguono e che forse disprezzano, ideologicamente o politicamente parlando. Come è possibile che sia accaduto? I motivi potrebbero essere molteplici: account hackerati, un bug di Twitter o un’applicazione che utilizza vostro account senza che ve ne rendiate conto.

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Così come su Facebook, accettare applicazioni per ricavarne qualche beneficio gratuito è all’ordine del giorno e non sempre si conoscono i rischi. Per fare un esempio, ho creato un’applicazione Twitter a scopo educativo molto leggera e veloce che, una volta autorizzata dall’utente, mi permette di scrivere un tweet e fare un “like” a mio piacimento con il suo account. Immaginate una cosa del genere su larga scala, magari dopo aver accettato un’applicazione che vi permette di conoscere quanti account “fake” vi seguono e come eliminarli dalla vostra lista dei follower. Io, con un’applicazione ancora più invasiva, potrei fare di peggio. Per fortuna non sono il tipo, ma gli altri?

Di chi sono i vostri account? Soprattutto, di chi sono i vostri dati? Siete davvero sicuri di fornirli a chiunque senza rischiare ripercussioni? Certo, potete porre la dovuta fiducia a chi volete, ma ricordatevi che avete dei diritti e dovete farvi rispettare.

David Puente, esperto informatico, ci guiderà con diverse analisi sul problema della sicurezza dei nostri dati informatici, anche in Italia. Questo è un secondo estratto del suo lavoro con Giornalettismo. Qui tutte le puntate relative a Cambridge Analytica e non solo.

(In copertina un momento delle operazioni di voto attivate sulla piattaforma Rousseau per scegliere il Candidato Premier, 21 settembre 2017. Foto ANSA)

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