Il Quirinale ha corretto l’irrituale decreto di revoca dell’incarico a Siri scritto dal consiglio dei ministri

Il governo è stato rimandato anche nella materia – in teoria piuttosto semplice – ‘scrittura di decreti di revoca’. Come anticipato nella giornata di ieri, il Quirinale ha dovuto correggere il decreto Siri uscito fuori dal consiglio dei ministri dello scorso 8 maggio, attraverso il quale il presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiedeva la revoca dell’incarico di sottosegretario alle Infrastrutture, fino a quel momento ricoperto da Armando Siri, politico della Lega.

Decreto Siri, il Quirinale corregge il testo del Cdm

Quest’ultimo – lo si ricorderà – è indagato con l’accusa di corruzione. Tuttavia, il testo uscito da Palazzo Chigi doveva essere approvato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha il potere di nominare i ministri su indicazione del presidente del Consiglio (e, ovviamente, ha anche il potere di revocare le loro nomine) non era conforme.

Gli uffici del Quirinale, infatti, hanno ritenuto necessario eliminare dal testo una irrituale parte politica scritta nel documento su indicazione della Lega. Infatti, visto che non si è arrivati alla revoca dell’incarico di Armando Siri attraverso una votazione, la Lega ha preteso di mettere nero su bianco il suo dissenso rispetto all’atto di indirizzo del presidente del Consiglio.

La chiusura paradossale della vicenda sul decreto Siri

Il Carroccio, infatti, ha preteso di inserire un paragrafo sulla presunzione di innocenza per non far torto a Siri, mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è voluto cautelare mettendo nel documento il riferimento alla rinnovata fiducia dei componenti del consiglio dei ministri nella sua figura.

«Il Consiglio dei ministri – si leggeva nel provvedimento – ribadisce la sua fiducia nel presidente Conte e conferma il principio di presunzione d’innocenza come principio cardine». Ma una dichiarazione così politica non poteva essere inserita in un provvedimento tecnico. Così, il Quirinale ha cassato completamente il paragrafo citato e ha chiarito che nel testo ci doveva essere soltanto il riferimento alla revoca dell’incarico. Degna conclusione, insomma, di una vicenda che sin dall’inizio è stata paradossale.

FOTO: ANSA/GIANDOTTI/UFFICIO STAMPA QUIRINALE

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