I principali problemi del nuovo Tax credit cinematografico italiano
Le critiche al Tax Credit sono mosse, in maniera abbastanza trasversale, dai grandi produttori, ma anche dai piccoli che temono di venirne danneggiati
19/09/2024 di Gianmichele Laino
Probabilmente, a dare un volto allo scontento del cinema italiano è stato Nanni Moretti dal palco della Mostra del Cinema di Venezia. Nel corso della kermesse, il regista italiano ha definito la nuova legge sul cinema – quella della revisione dell’ormai celebre Tax Credit – “pessima” e ha invitato gli addetti ai lavori a essere più energici per cercare di contrastarla. Ma se Nanni Moretti rappresenta un mondo del cinema di primo piano, collegato a grandi produttori e a grandi nomi (che ha una pessima opinione della riforma del cinema, appunto), è pur vero che dall’altra parte, dal lato dei tanti produttori indipendenti in Italia c’è il timore che alcune disposizioni previste dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e dalla sottosegretaria Lucia Borgonzoni possano affossare anche questa componente dell’ecosistema cinematografico italiano.
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Critiche al Tax Credit: concordi sia grandi, sia piccoli produttori
I grandi del cinema hanno di che lamentarsi: ritengono, ad esempio, che il numero minimo garantito di proiezioni in sala sia un limite per ottenere i fondi pubblici e contestano il tetto imposto dal legislatore ai costi di produzione “sopra la linea” (quelli per registi, sceneggiatori e per tutta la componente attoriale). La percezione è che siano battaglie di altro livello rispetto a quelle delle piccole produzioni (che, invece, mettono in gioco la loro stessa esistenza), ma che comunque contribuiscono ad aumentare il clima di sfiducia nei confronti di questo provvedimento.
I produttori indipendenti contestano la legge da un altro punto di vista. Ritengono, ad esempio, che il 40% di copertura da parte dei capitali privati necessari per ottenere il finanziamento pubblico sia una percentuale ghigliottina. Quest’ultima, come abbiamo avuto modo di evidenziare nel nostro monografico di oggi, si applica anche alle produzioni dal costo inferiore al milione e mezzo di euro: per queste ultime è già un problema andare avanti con i finanziamenti pubblici, figuriamoci se – per ottenerli – ci fosse necessità di intercettare anche investitori privati.
Altro problema che è stato evidenziato anche ai nostri microfoni da chi ha avuto modo di osservare da vicino l’iter di licenziamento della legge, è quello della scelta delle commissioni che determineranno la distribuzione dei fondi pubblici e la valutazione delle opere. Questi ultimi saranno di nomina politica, mentre non verranno presi in considerazione dei background che possano essere effettivamente rispondenti alla valutazione delle opere in questo settore per l’assegnazione dei cosiddetti contributi selettivi.
Molto spesso, inoltre, le piccole produzioni puntano a valorizzare il patrimonio culturale italiano: non possono essere giudicate dalla loro presenza (e gradimento) nel box office, né tantomeno dalla quantità di soldi spesi (e – di conseguenza – dall’importanza del contributo privato alla loro realizzazione). Per questo, le associazioni dei piccoli produttori chiedevano di eliminare gli ostacoli imposti dal contributo selettivo per le opere di interesse culturale. Insomma, la legge sembra scontentare tutti nel nome di una ottimizzazione dei fondi per evitare che opere ampiamente finanziate non vengano nemmeno terminate. Ma il rischio è solo quello di spostare il danno da un piatto della bilancia all’altro.