Storia di una crisi di governo che sembra una crisi di cuore

Alla fine di un amore, per quanto conflittuale, non è mai saggio buttarsi tra le braccia di un altro. Passi il chiodo schiaccia chiodo, ma bisogna dosare il proprio investimento con accortezza. Lo sa bene Luigi Di Maio, lasciato dall’ormai ex partner di governo con un pugno di mosche in mano e ora combattuto tra un nuovo flirt, che potrebbe essere solo estivo o l’inizio di qualcos’altro, e gli stralci malinconici dell’ex.

Storia di una crisi di governo che sembra una crisi d’amore

Trovare il proprio compagno non è stato facile. Il Movimento 5 Stelle, ubriacato dall’ondata di consensi strepitosa delle elezioni, sapeva però che da solo non poteva farcela. Aveva tentato di aprire diverse porte, ma ricevendo qualche no. Poco importava, il Movimento e Luigi Di Maio brillavano di luce propria. E forse, accecato dalla sua stessa luce, ha scelto un compagno sbagliato. Lo sanno anche i sassi: mai prendere decisioni quando si è troppo tristi o troppo felici. Matteo Salvini sembrava un compagno tutto sommato buono: aveva consenso, ma meno. Era deciso e determinato, ma volenteroso a firmare un contratto. Ma l’amore, così come la politica, non regge ai diktat e ai contratti, men che meno a quelli “di governo”.

Come spesso accade nelle relazioni personali, il partner un po’ rustico di colpo ha cominciato ad avere potere, a voler pesare di più nella coppia, a chiedere e chiedere ancora. Luigi Di Maio si è posto la tipica domanda “ma oltre a chiedere, mi dà qualcosa in cambio?”. Ed ecco allora l’astuto stratega che usava bastone e carota:” ti aiuto e ti sostengo, così poi farai lo stesso con me”. E Di Maio, come nelle coppia, lo ha lasciato fare pensando che fosse solo una fase, l’importante era portare avanti il rapporto. Passino le scaramucce, un rapporto così era prevedibile fosse conflittuale, passino le frecciatine sui social, le storie su Instagram. Ogni tanto anche lui ha perso la pazienza, e acutamente il partner di governo rispondeva con “e allora voi?”. Fraintendimenti che diventano polemiche, polemiche che diventano attacchi, aspirazioni che separano. E ci si mette la tentazione dell’estate, delle vacanze separate, dei tanti mojito sulle spiagge. Fino a quando, quel rapporto si è rotto definitivamente.

Ancora con il cuore a pezzi, pugnalato al fianco e alle spalle, Di Maio non ha avuto il tempo di elaborare il proprio lutto. Provvidenziale l’intervento di Giuseppe Conte che, come un caro amico che si limitava a esprimere il dissenso privatamente, finalmente può dire quello che pensa, e attaccare il cattivo chiarendo che “non sono io, sei tu”, brutto «irresponsabile», e che “no, non ti meriti di stare con lui, con noi”. Un saluto pesante, che sembra definitivo. È il migliore amico che diceva “se sei felice tu, io sono felice” ma che non poteva più nascondere il suo disprezzo. E ora che è finita, che Di Maio è silenzioso alla sinistra di Conte, il premier amico può sfogarsi una volta per tutte. Non si ferma di fronte alle espressioni comiche di chi si sente forte di essere quello che sta lasciando, mentre il lasciato sorride amaramente, guardando in alto verso l’amico e chiedendosi “forse avrei dovuto ascoltarlo prima”.

Ed ecco allora il chiodo schiaccia chiodo. In Veneto si dice che se non è pane, è polenta. E se non è Lega, allora è Pd. Anche se ci sono trascorsi, sgarri, battutacce. Eppure, per garantire un bene superiore, si può provare, sarà solo un flirt estivo. Quel tanto che basta per riprendersi, leccarsi le ferite e rimettersi in gioco. E come ogni nuovo sentimento sbocciato ad Agosto, sembra tutto positivo: l’intesa c’è, le differenze incuriosiscono. Nicola Zingaretti sembra essere l’alternativa giusta, forse molto più di un chiodo. Certo, bisognerà fare delle rinunce, ma ne varrà la pena. Luigi Di Maio torna dal mare, il sale sulle ferite lo ha lasciato tra le onde. Arrivano tutti, abbronzati e non, compiacenti o meno, ma tutti prendono atto della nuova coppia. Compreso l’ex. Hanno persino un nome tutto loro, “mazinga“. Sorridono, si stringono le mani, si cibano di illusioni. Ma è ancora troppo presto per cantar vittoria.

Quando si lascia si pensa di soffrire meno, ma non è così. Matteo Salvini vede la possibilità di essere sostituito, non solo nel governo e al fianco di Di Maio, ma anche nella popolarità. “Forse sono stato troppo irruento? forse troppo precipitoso? Forse possiamo riparlarne”, «noi ci siamo». Basta uno spiraglio, uno piccolo per riaccendere un fuoco che non si è ancora spento. E, coincidenza o meno, quello spiraglio c’è. Zingaretti di colpo sembra avere due facce: quella con Di Maio e quella di fronte a Sergio Mattarella. Le condizioni cambiano, i toni si inaspriscono. “Ma come”, pensa Luigi, “devo ripassare la stessa storia di nuovo? e così presto?”. Un classico caso del calesse.

Luigi Di Maio però non si fa mettere in un angolo, per parafrasare un film sempre d’amore. Non vuole assecondare «capricci estivi», e allora punta i piedi. Presenta il suo decalogo,  e si dice disponibile a parlare con chiunque sia d’accordo. E i due pretendenti? Se in amor vince chi fugge, l’ultima parola l’ha chi decide. Eccoli allora, la Lega con un bagaglio comune di 14 mesi che rivede la sua durezza, basta «che i no diventino sì» e «noi ci siamo». Mentre il nuovo Pd continua a corteggiare, smentisce la malelingue, sono solo gelosie e invidie. Insieme «possiamo lavorare» su un quadro «emerso dai dieci punti». E il Movimento 5 stelle, nel mezzo di chi lo vuole, si chiede di chi si possa davvero fidare. O se non sia meglio mollare tutto e ripartire da zero, da solo. Ma ne sarebbe davvero in grado?

(credits immagine di copertina:ANSA/PIER PAOLO FERRERI-ANGELO CARCONI-DANIEL DAL ZENNARO)

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