Covid-19 per Galli il “pericolo” non arriva dai migranti

Nell’estate dei focolai da Covid-19 resta alta l’attenzione e il timore per un’eventuale seconda ondata epidemica, un’eventualità che metterebbe in ginocchio la nostra economia, ma anche i nostri nervi. E puntuale, come ogni paura, arriva la propaganda della destra, pronta a capitalizzare fobie e timori alla ricerca di consenso facile. E ancora una volta il bersaglio sono i migranti, ieri “risorse boldriniane” pronte a degradare le nostre città, oggi “untori” pronti a infettare le nostre comunità. Ma quanto c’è di vero? Per l’infettivologo Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie Infettive, dell’ospedale Sacco di Milano, in realtà poco. Intervistato da Avvenire Galli ha affermato: «le persone in arrivo sono le più controllate. Alcuni sfuggono ma non sfuggono solo loro: sfuggono ai controlli – e persino alla quarantena – molte persone che arrivano da Paesi Schengen dove l’infezione è ben presente. Occorrerebbe controllare meglio i viaggiatori intercontinentali che arrivano dalle zone in cui l’epidemia ancora imperversa». Il vero pericolo è quello che arriva dai voli intercontinentali o perfino da altri paesi occidentali dove il virus circola, ma questi arrivi e queste infezioni, fanno mediaticamente meno clamore. Il ritorno elettorale dell'”untore extracomunitario” è evidente per la destra sovranista un’occasione troppo ghiotta da sfruttare elettoralmente.

Covid-19: ci sarà una seconda ondata?

E la seconda ondata ci sarà? Su questo il professore rimane piuttosto vago: « Non do per scontata una nuova emergenza autunnale (anche se l’Oms ripete di star pronti) né di paragonare questa malattia alla Spagnola o all’influenza tradizionale. Insomma, non è “scritto” che questo virus torni nelle modalità che abbiamo conosciuto ma è importante continuare a usare tutte le precauzioni», anche perché sono stati fatti molti progressi nel contrasto alla malattia « il sistema sanitario è più preparato a riconoscerlo e non gli permetterà di circolare indisturbato per settimane». Rimane certamente lo strazio di questi mesi, e il dolore di aver dovuto accompagnare delle persone a morire senza nemmeno un saluto: « abbiamo vissuto, negli anni ’80, la tragedia dell’HIV: quel virus ti dava la possibilità di compiere un percorso con il malato che, in una prima fase fu così, finivi per dover accompagnare alla morte. Conservo nella mia mente una galleria di volti che non dimentico neanche adesso, dopo trent’anni. Al contrario, nei mesi scorsi abbiamo curato migliaia di persone che se ne sono andate senza che potessimo conoscerle. Arrivavano a ondate, li vedevi che spesso non erano i condizione di parlare, dovevi cercare di creare un qualche rapporto con i famigliari, che spesso abitavano in altre città…». Mesi che resteranno scolpiti nella memoria collettiva e nei libri di storia.

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