Cos’è la rivolta del KuToo nata in Giappone

Dopo la ribellione all’obbligo del cioccolatino in ufficio a San Valentino per i colleghi maschi, le lavoratrici giapponesi stanno imbracciando una nuova lotta: quella contro l’obbligo di portare i tacchi alti sul luogo di lavoro. Secondo dei sondaggi, il 70% delle donne giapponesi indossa tacchi alti al lavoro almeno una volta a settimana. Una scelta di abbigliamento dovuta ad una esplicita richiesta del capo o alla pressione sociale, con conseguenze negative per la postura e la salute.

Cos’è la rivolta del KuToo nata in Giappone

Tutto nacque da un post su Twitter di Yumi Ishikawa, una 32enne che lavora in una ditta di pompe funebri a Tokyo. Sul social cinguetto la fotografia dei suoi piedi sanguinanti dopo una giornata di lavoro, scrivendo che invidiava i colleghi maschi liberi da tale tortura. Il suo post ricevette migliaia di like e condivisioni, con altre utenti che postavano immagini simili di piedi distrutti dalle scomode scarpe. Velocemente la protesta social assunse anche un hashtag di riferimento: #KuToo, dalla mescolanza della parola “kutsu”, scarpa, e MeToo, il movimento femminile nato all’indomani dello scandalo Weinstein.

 

Da Twitter a Change.org, l’obbiettivo è fare come le Filippine

Dai social la battaglia si è spostata su un’altra piattaforma promotrice di cambiamento, ovvero Change.org, dove la petizione pubblicata a febbraio ha già superato le 16mila firme. Il proposito è di fare pressione al ministero della Salute affinché impedisca ai datori di lavoro di obbligare il personale femminile a indossare tacchi a spillo, lasciandole libere di indossare le scarpe che preferiscono, purché siano adatte e consone alla professione e all’ambiente di lavoro. In questo modo il Giappone seguirebbe l’esempio dato da Filippine che nel 2017 cancellò l’obbligo di indossare tacchi alti sul luogo di lavoro accogliendo le proteste mosse dai sindacati.

(credits immagine di copertina: Pixabay License)

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