«I baroni non vogliono l’inglese» e al Politecnico si annullano le lezioni in lingua

Una vicenda paradossale quella del Politecnico di Milano, dove venivano svolti dei corsi interamente in lingua inglese per rispondere alle esigenze di internazionalizzazione dell’Ateneo e per far fronte alle necessità specifiche di alcune materie (come robotica, ingegneria e architettura). Da oggi, queste lezioni non sono più regolari: una serie di docenti dell’ateneo milanese – una delle eccellenze del nostro sistema universitario – ha presentato un ricorso al Consiglio di Stato che è stato accolto, creando non poca confusione per gli iscritti al Politecnico di Milano.

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LA RIVOLTA DEI BARONI PER I CORSI D’INGLESE AL POLITECNICO DI MILANO

Ora si andrà avanti con gli studenti che termineranno la laurea magistrale in questo anno accademico, dopo chissà. Ma l’attacco a questa sentenza del Consiglio di Stato che viene dai vertici dell’Ateneo è durissima. «I 126 professori che hanno firmato il ricorso sono dei ‘parrucconi’ – ha affermato al Corriere della Sera l’architetto e designer Piero Lissoni, membro dell’Advisory board del Politecnico -: sono incapaci di mettersi al passo con i tempi e firmano ricorsi al Tar e lettere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella».

Dunque, secondo i vertici dell’Ateneo, la decisione che è stata presa in merito all’insegnamento in inglese al Politecnico di Milano è frutto della difesa di posizione da parte dei baroni. I 126 professori che hanno firmato il ricorso rappresentano una minoranza del corpo docente dell’Ateneo (stimata nel 10% del totale): eppure sono riusciti a bloccare una innovazione che, a poco a poco, sta investendo diverse università italiane.

PERCHÉ È IMPORTANTE L’INSEGNAMENTO IN INGLESE AL POLITECNICO DI MILANO

Del resto, l’insegnamento di una disciplina in lingua inglese – lungi dal rappresentare un ostacolo per le nuove generazioni – costituisce al contrario una ricchezza e una caratteristica per implementare le loro potenzialità e renderli più versatili nel mondo del lavoro. Ma i docenti si sono arroccati su una sorta di difesa della cultura e della tradizione italiana: «Una baronia allo stato puro – attacca Lissoni -, una rendita di posizione, una difesa di un passato che non trova riscontro non solo nel futuro ma neppure nel presente. Senza lungimiranza né curiosità».

Secondo l’architetto, l’insegnamento in inglese non va a scalfire la cultura italiana, né la sua identità. Ma internazionalizzare è sinonimo di eccellenza. Eppure, questo processo di innovazione è stato bloccato da un gruppo di docenti non abituati a parlare in inglese. Possibile che queste cose, nel 2018, accadano ancora?

(Corsi inglese Politecnico Milano – FOTO: ANSA / MATTEO BAZZI)

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