Hillary Clinton ha già vinto le presidenziali. I 10 motivi per cui lo sappiamo
07/11/2016 di Andrea Mollica
CHI VINCERÀ LE PRESIDENZIALI USA –
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Chi vincerà le presidenziali Usa? Hillary Clinton sarà il quarantacinquesimo presidente della storia della Stati Uniti. Per la prima volta una donna assumerà l’incarico di guidare il più importante Paese del mondo. L’economia più grande, l’esercito più forte a livello globale saranno guidati da una donna, arrivata all’incarico di capo di stato e di governo dopo una lunga e prestigiosa carriera nelle istituzioni. Il mondo conoscerà questo risultato alle 20 di martedì 8 novembre sulla costa statunitense del Pacifico, le ore 5 in Italia, quando i media americani annunceranno il risultato definitivo delle presidenziali di Usa 2016 dopo la chiusura dei seggi negli Stati di California, Oregon e Washington. Insomma, se vi chiedete chi vincerà le presidenziali Usa, ecco i 10 motivi per cui Hillary Clinton ha già vinto queste elezioni.
- 1. UNA MAGGIORANZA NEL COLLEGIO ELETTORALE
Tutti i sondaggi e i commenti sulle elezioni americane sono concordi: Hillary Clinton ha una chiara maggioranza relativa nel Collegio Elettorale. Le presidenziali Usa sono vinte da chi supera i 270 Voti nel Collegio Elettorale, il cui esito è prevalentemente determinato dai cosiddetti Stati in bilico, swing states, gli Stati in equilibrio tra i candidati. A Usa 2016 ci sono sostanzialmente 14 Stati in bilico per 179 Voti Elettorali: 177 dei cosiddetti swing states, e 1 assegnato a chi arriva prima nel secondo distretto congressuale in Maine e Nebraska. Considerando la storia recente e i sondaggi, Hillary Clinton può esser considerata la sicura vincitrice di almeno 183 Voti Elettorali, mentre Donald Trump può contarne su 116. La candidata democratica ha la quasi totalità degli Stati del Nordest – con l’eccezione di New Hampshire e Pennsylvania, e con un leggero dubbio su un voto elettorale in Maine -, l’Illinois e gli Stati sul Pacifico, come il più popoloso di tutti, la California. Considerando la pressoché scontata vittoria in Stati una volta in bilico come Minnesota e New Mexico la candidata democratica può esser considerata certa di aver 198 Voti Elettorali. Per arrivare a quota 270 Clinton ha una possibilità di combinazioni molto più ampia rispetto a Donald Trump, che invece parte da quota 154. Considerando gli Stati dove Hillary Clinton ha condotto almeno il 90% dei sondaggi nel 2016, come gli swing state Virginia, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin o Colorado, la candidata democratica può esser considerata sicura di aver 268 Voti Elettorali.Alla candidata democratica basta vincere di conseguenza un solo Stato in bilico, come New Hampshire, Nevada o North Carolina, dove ha condotto almeno il 70% dei sondaggi, per conquistare il successo nel Collegio Elettorale. I sondaggi e i dati dell’early voting indicano come ormai sicuri Nevada e New Hampshire nella colonna democratica, proiettando Hillary Clinton sopra quota 270 nel Collegio Elettorale.
Donald Trump parte invece da un dato molto più basso, 190 Voti Elettorali, in Stati dove ha guidato un numero minore di sondaggi rispetto ad almeno il 90% delle indagini. Per vincere nel Collegio Elettorale il candidato repubblicano dovrebbe vincere l’89% dei Voti Elettorali ancora in bilico secondo ogni metrica credibile: Trump ha bisogno di un successo in praticamente tutti gli Stati in bilico o quasi, ovvero Florida, Ohio, North Carolina, Wisconsin, Nevada, Iowa, New Hampshire, oltre ai Voti Elettorali assegnati nel secondo distretto congressuale di Maine e Nebraska.
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- 2. IL VOTO NAZIONALE
Nella storia americana recente solo Al Gore ha perso il Collegio Elettorale dopo aver vinto il voto popolare. Il candidato democratico alle elezioni di Usa 2000 era quasi sempre stato dietro a George W Bush nei sondaggi, per poi prevalere di poco più di mezzo milione di voti. Prima di lui Samuel Tilden, Grover Cleveland e John Quincy Adams, tutti nell’Ottocento, avevano vinto come Gore il voto popolare, perdendo però la Casa Bianca. La ripetizione di un simile esito è estremamente improbabile, o sostanzialmente impossibile, se ci sarà almeno un punto percentuale di differenza tra i due candidati. Hillary Clinton vincerà il voto popolare con ben più di 1 punto percentuale di vantaggio rispetto a Donald Trump, e per questo conquisterà la Casa Bianca. L’exit poll di martedì 8 novembre 2016 sarà probabilmente simile a questa simulazione nella parte relativa al voto su base etnica.Donald Trump dominerà il voto bianco, con un vantaggio nei confronti di Hillary Clinton in questo gruppo demografico superiore a quello ottenuto da tutti i candidati repubblicani recenti, da George W. Bush a Mitt Romney. Trump però andrà peggio, o come Mitt Romney tra gli afro-americani, gli ispanici e gli altri, così permettendo a Hillary Clinton di sopravanzarlo di alcuni punti percentuali. Un simile distacco si tradurrà in un’automatica vittoria nel Collegio Elettorale, più o meno ampia a seconda di come andranno le battaglie all’ultimo voto condotte in Florida e North Carolina. Difficilmente però Donald Trump, vista la sua debolezza nelle minoranze etniche, sarà in grado di superare quota 240 Voti Elettorali. - 3. IL VOTO ANTICIPATO
Alle presidenziali americane dovrebbe votare un numero di persone vicino ai 130 milioni. Nel 2008 le preferenze espresse per i candidati alla Casa Bianca erano state 131 milioni e 473 mila, nel 2012 129 milioni 237 mila. Negli Usa la maggioranza degli Stati consente di votare in anticipo tramite il cosiddetto early voting. Ogni elettore registrato può richiedere di ricevere una scheda prima dell’8 novembre e inviarla per posta, oppure recarsi nei seggi, aperti in orari e luoghi limitati rispetto all’Election Day. Il professor Michael McDonald dell’università della Florida ha calcolato che più di 40 milioni di elettori, quindi circa un terzo del totale, hanno votato in anticipo rispetto all’8 novembre. Considerando che Stati popolosi come New York o Pennsylvania non consentono l’early voting, significa che almeno la metà degli elettori di numerosi Stati voterà in anticipo. Le statistiche consentono di osservare chi ritira la scheda dell’early voting negli Stati che registrano gli elettori per affiliazione partitica. Negli Usa in 28 Stati le persone hanno la possibilità di registrarsi a un partito. Grazie a questa indicazione l’early voting fornisce una stima indicativa sull’elettorato dell’8 novembre. In diversi Stati in bilico l’early voting ci dice che Hillary Clinton ha accumulato un vantaggio nell’early voting sufficiente a spingerla sopra quota 270. La mobilitazione degli elettori democratici, e ispanici, in Colorado e Nevada sembrano garantirle il successo in due Stati che la porteranno sopra quota 270. Le statistiche in arrivo dalla Florida sono più che discrete, mentre solo in North Carolina si registra una diminuzione della base elettorale democratica. Il calo dell’affluenza da parte degli afro-americani sembra però, visto che in crescita in tutti gli Stati vicini, più causato dagli ostacoli introdotti dal governatore repubblicano di Raleigh. - 4. LA FORZA DEGLI ISPANICI INSULTATI DA DONALD TRUMP
Nell’esito nazionale così come in quello degli Stati in bilico i sondaggi hanno spesso sottostimato l’importanza del voto ispanico. Le indagini demoscopiche hanno un difetto strutturale, il basso tasso di risposta delle persone interrogate per formare un campione rappresentativo della popolazione. Con il segmento di voti ispanico questo difetto si amplia: molti americani di origine messicana, centro o sudamericana sono difficilmente raggiungibili sul telefono fisso, così come sul mobile e spesso hanno difficoltà a esprimersi in inglese. Uno dei principali fattori che aveva portato a sottostimare il dato nazionale di Barack Obama nel 2012 era l’errore sul voto ispanico. Il miglior istituto demoscopico per capire come voteranno gli americani appartenenti a questa etnia, la seconda nel Paese per peso demografico, si chiama Latino Decisions. Secondo il trackig settimanale Hillary Clinton vincerà il voto ispanico in modo netto, con una percentuale vicina all’80%, superiore al livello record ottenuto da Obama quattro anni fa. La notizia più positiva per la candidata democratica è rappresentato dall’aumento della partecipazione stimato da Latino Decisions. Nel 2012 i voti ispanici sono stati 11 milioni, nel 2016 saranno almeno 13, e forse vicino ai 15. Numeri che renderebbero praticamente certa la vittoria in Stati in bilico dell’Ovest a forte presenza ispanica come Colorado e Nevada, e favorirebbero in modo decisivo Hillary Clinton in Stati come Virginia, North Carolina o anche la stessa Florida, dove è crescente il peso demografico dei latinos di nuova generazione. Probabilmente molti repubblicani rimpiangeranno i continui insulti alla seconda etnia americana rivolti da Donald Trump. - 5. LA MINORANZA POLITICA DELLA EX MAGGIORANZA BIANCA
Donald Trump ha sfondato, letteralmente, nell’America del passato. Il candidato repubblicano sta andando meglio di ogni altro esponente recente del Gop tra i bianchi a bassa istruzione, che hanno come titolo di studio massimo le scuole superiori, e che vivono prevalentemente nelle aree rurali degli Stati Uniti. In questo segmento di voto Donald Trump sta letteralmente surclassando Hillary Clinton. Il problema della strategia di The Donald è che la cosiddetta Middle America, le famiglie bianche che vivono nelle piccole città statunitensi, non è più maggioranza demografica e politica come capitava fino alla fine del secolo scorso. Per questo motivo gli ultimi due predecessori democratici di Barack Obama, Jimmy Carter di Plains, Georgia, e Bill Clinton, di Hope, Arkansas, sono stati esponenti di quella Middle America che ora si sente tradita in larga parte dai liberal. Barack Obama è stato invece il primo presidente metropolitano, proveniente da una grande città come Chicago ed eletto dal voto delle aree a maggior densità abitativa. Donald Trump è troppo minoritario nelle infinite periferie urbane delle metropoli americane per poter vincere: non solo per l’ostilità delle minoranze etniche come ispanici, afro-americani e asiatici, dei giovani figli del melting pot culturale creato dalle grandi ondate migratorie del secolo scorso, ma anche per aver perso il consenso dei ceti più istruiti. Tra i bianchi laureati oppure con diploma postuniversitario Hillary Clinton sta conquistando consensi più alti rispetto a quelli conseguiti da qualsiasi candidato democratico della storia recente. La coalizione sociale di Donald Trump, quasi esclusivamente bianca, prevalentemente anziana, in prevalenza composta da ceto medio poco istruito e residente nelle aree meno popolose degli Stati Uniti, sarebbe stata probabilmente maggioritaria 20 anni fa. Ora è destinata alla sconfitta, perchè i bianchi non laureati non sono più la maggioranza del Paese. - 6. HILLARY CLINTON HA CONDOTTO SEMPRE I SONDAGGI NEL 2016
Nel 2016 Hillary Clinton ha avuto un costante primato demoscopico nei confronti di Donald Trump. Fin da quando si è capito che le primarie sarebbero state vinte dai due candidati alle presidenziali, a marzo, Clinton ha sempre avuto un margine di vantaggio, minimo o ampio a seconda del ciclo delle notizie, su Donald Trump. Per osservarlo basta guardare i dati di Huffington Post Pollster, che offre tre tipologie di medie. La prima è una ponderazione degli ultimi dati con le tendenze recenti.La seconda accentua le oscillazioni dando più peso ai numeri più recenti.La terza invece è quella dove si possono cogliere meglio le tendenze di lungo periodo.Come si nota, in tutti e tre i casi non solo Hillary Clinton conduce costantemente i sondaggi, ma lo ha sempre fatto. In tutto il 2016 Donald Trump non ha mai avuto un primato demoscopico, più o meno ponderato. Una dinamica elettorale simile a quella osservata nel 2004, quando John Kerry era stato vicino a George W. Bush, ma non era mai stato in grado di superarlo. - 7. LE PROBABILITÀ DI SUCCESSO SONO DOMINATE DA HILLARY CLINTON
Dal 2012 i siti statunitensi che analizzano i sondaggi utilizzano le indagini demoscopiche per calcolare la probabilità di vittoria. Hillary Clinton oscilla tra un minimo del 65% a un massimo del 99% nella stima delle chance di successo. Per Fivethirtyeight di Nate Silver la candidata democratica ha il 65% di probabilità di vittoria, una percentuale che sale all’85% per il modello elaborato da The Upshot del New York Times. Altre simulazioni realizzate da docenti di statistica come Sam Wang e Drew Linzer, su Princeton Election Consortium e Votamatic/Daily Kos Elections, rilevano Hillary Clinton sopra o intorno al 90% di possibilità di successo.Anche per Huffington Post/ Pollster la candidata democratica è praticamente certa di vincere, con una chance del 98%. PredictWise, un sito non specializzato in politica ma in statistica, prevede per Clinton l’87% di probabilità di successo. Queste simulazioni, che si basano sui dati dei sondaggi, evidenziano come le elezioni di Usa 2016 abbiano già un vincitore, Hillary Clinton. Solo un macroscopico errore demoscopico, di dimensioni mai verificatosi finora, potrebbe rendere possibile un successo di Donald Trump.
- 8. LE OPINIONI FAVOREVOLI PER DONALD TRUMP SONO TROPPO BASSE, MENTRE OBAMA PIACE ANCORA MOLTO
Uno degli indicatori più predittivi dei comportamenti di voto sono le opinioni favorevoli su un candidato. Donald Trump, nelle medie elaborate da Huffington Post/Pollster e Real Clear Politcs, non è mai stato in grado di superare la soglia del 40% in tutto il 2016.Una percentuale troppo bassa, resa ancora più evidente nel sondaggio quotidiano sulle opinioni favorevoli e sfavorevoli realizzato da Gallup. L’istituto demoscopico più prestigioso degli Stati Uniti, dopo la disastrosa prova nel 2012, ha preferito concentrare il suo lavoro sulle presidenziali su questo indicatore. Galllup non ha mai riscontrato, in un campione di adulti americani, Donald Trump al di sopra del 35% di opinioni favorevoli nel mese di ottobre.Hillary Clinton è sempre stata sopra il 40%.
Appare semplicemente impossibile che così tante persone con un’opinione negativa di Trump, il 10% del totale, quindi poco meno di un terzo di tutti quelli che esprimono un giudizio positivo sul candidato repubblicano, esprimano poi un voto così radicalmente in contrasto con la propria valutazione. Hillary Clinton non è una candidata particolarmente apprezzata, al contrario, però ha sempre avuto un numero di opinioni positive maggiore rispetto a Donald Trump, e nelle medie non è mai scesa sotto il 40%, una soglia mai raggiunta dal suo avversario.
BARACK OBAMA HA UN TASSO DI APPROVAZIONE MOLTO ALTO
Barack Obama ha un tasso di approvazione del suo operato più alto rispetto a quello del 2012. Come si nota dal grafico Pollster, così come dai valori di Gallup, una costante maggioranza assoluta degli americani apprezza l’operato del presidente da ormai molti mesi. Nel 2012 solo dopo l’estate e la dura campagna elettorale contro Mitt Romney, Barack Obama era riuscito a superare il 50% di approvazione.
Il fatto che il presidente uscente abbia un tasso di approvazione superiore al 50%, che talvolta sale intorno al 55%, non è una garanzia di successo per il candidato del suo partito. La popolarità di Barack Obama è però un presupposto indispensabile per la vittoria di Hillary Clinton, e rende più debole la campagna di cambiamento condotta da Donald Trump. Nelle ultime presidenziali l’apprezzamento per l’operato del presidente uscente ha spesso indicato l’esito delle elezioni. Nell’ottobre del 2008 George W Bush aveva un tasso di approvazione inferiore al 30%, una impopolarità impossibile da superare per il suo compagno di partito John McCain. Nell’autunno del 2000 Bill Clinton aveva un tasso di approvazione tra il 55 e il 60%, ma Al Gore non è stato capace di sfruttarla, ottenendo un consenso superiore al suo avversario a livello nazionale, ma inferiore a quello del suo ex compagno di ticket e insufficiente a vincere nel Collegio Elettorale. Nella campagna presidenziale del 1992 Bush padre aveva un tasso di approvazione di poco superiore al 30%, un dato troppo basso per ottenere una maggioranza, anche solo relativa, contro Bill Clinton. Nel 1988 Ronald Reagan aveva chiuso, come Barack Obama, la sua presidenza con un tasso di approvazione sopra al 50%, un consenso sfruttato dal suo vice George Bush per battere il cambiamento proposto da Michael Dukakis.
- 9. IL TERZO MANDATO E UNA IMPOSSIBILE VITTORIA A VALANGA
Nella storia recente americana, dal dopoguerra in poi, nessun partito è riuscito a conquistare tre mandati presidenziali consecutivi, con la sola eccezione dei Repubblicani negli anni ottanta. Dal 1944 fino al 1980 e dal 1992 fino al 2016 i due partito che esprimono il capo di Stato statunitense si sono alternati con regolarità alla Casa Bianca. Dopo otto anni di governo l’elettorato americano, pragmatico e tendente all’equilibrio, senza domini eccessivi di una sola parte, è caratterizzato da una prevalente voglia di cambiamento. Per questo motivo i commentatori come gli storici evidenziano come sia difficile per un partito ottenere un terzo mandato. Questa spinta al cambiamento però non è garanzia di successo, o di orientamenti così prevalenti. Lo dimostrano diverse elezioni: nel 1960 John Kennedy vinse in modo particolarmente fortunoso, e controverso, contro Richard Nixon. Nel 2000 Al Gore vinse il voto popolare contro George W Bush, e perse solo nel Collegio Elettorale, per poche centinaia di voti in Florida. La fatica elettorale associata al terzo mandato presidenziale ha sempre reso impossibile una vittoria a valanga di Hillary Clinton, ma non rende affatto impossibile un suo successo. Al contrario, una vittoria contenuta trainata dall’elevato consenso di Barack Obama appare l’esito più coerente con i fondamentali statunitensi, in primis il buon andamento dell’economia e l’apprezzamento maggioritario per l’operato della amministrazione uscente. - 10. L’ECONOMIA
L’economia è il principale indicatore per capire l’esito di una presidenziale americana, così come di ogni elezione o quasi. Il bilancio di Barack Obama dal punto di vista economico e sociale è tra il discreto e il buono, anche se il grado di positività del giudizio dipende dal confronto utilizzato. L’economia americana ha superato la crisi finanziaria e la susseguente recessione del 2007/2008 in modo oggettivamente migliore rispetto alle principali economie dei Paesi industrializzati, come quella europea, giapponese o britannica. Se si paragonano invece i dati economici sotto l’amministrazione Obama con quelli degli altri presidenti il giudizio è sicuramente più negativo. Il tasso di disoccupazione è sceso dal picco del 10% raggiunto nel 2009 all’attuale 5%, la crescita del Pil l’anno scorso è stata pari al 2,4%, e nei due trimestri prima delle elezioni l’aumento della ricchezza nazionale è stato pari all’1,1% nel primo e all’1,4% nel secondo. Il disavanzo annuale si trova di poco sopra al 2%, dopo aver sfiorato la doppia cifra negli anni della crisi. Il debito pubblico si è stabilizzato poco sopra il 100% del Pil, l’inflazione rimane sempre anemica, con prezzi che crescono dell’1% circa. Dati economici certo non spettacolari, ma positivi, che confermano l’impressione che questa impressione sarà tendenzialmente equilibrata. Ci fosse stata una recessione in corso, Donald Trump sarebbe stato il chiaro favorito. Ci fosse stata una crescita al 3% o più con la creazione di diverse centinaia di migliaia di posti di lavoro al mese, difficilmente sarebbe sfuggita la Casa Bianca a Hillary Clinton. La candidata democratica però può contare su dati prevalentemente positivi, come la più lunga fase di creazione di posti di lavoro nel settore privato dell’epoca recente, alla base del buon consenso di Barack Obama. Con un simile bilancio il presidente, come rilevano diversi sondaggi, avrebbe anche potuto concorrere con i favori del pronostico per un terzo mandato, se non gli fosse impedito dal 22esimo emendamento della Costituzione. Hillary Clinton lo offre, e la maggioranza dei favorevoli a una simile proposta politica è la principale spiegazione della sua vittoria.