La censura del #MeToo in Cina passa per il blocco dei profili social delle vittime

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Mettere a tacere Xianzi, volto del MeToo Cina, passa non solo per l'archiviazione del caso ma anche e soprattutto per la censura del profilo Weibo della donna

Il #MeToo ha cominciato a prendere piede in Cina nel 2018 e il copione è stato lo stesso che nel resto del mondo: moltissime donne hanno cominciato a condividere le proprie esperienze e le molestie sessuali subite tramite i social. Zhou Xiaoxuan, maggiormente conosciuta grazie al suo pseudonimo Xianzi, fa parte di questa valanga di donne. C’è una differenza che le è valsa il ruolo di icona del MeToo Cina: il molestatore che ha accusato.



Si tratta di Zhu Jun, celebre conduttore della televisione di stato, che nel 2014 – quando lei si è recata nel camerino di lui per intervistarlo – l’avrebbe molestata sessualmente. Per sostenere questa accusa Xianzi ha passato anni difficilissimi e in questi giorni è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il suo caso è stato respinto dal tribunale per insufficienza di prove.

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L’accusa di molestie di Xianzi

Xianzi ha utilizzato i social per denunciare in maniera dettagliata quello che ha subito. Lei aveva 21 anni ed era una stagista, lui era uno dei volti più noti in Cina. L’uomo l’avrebbe ripetutamente palpeggiato la giovane donna per cinquanta minuti e, nonostante lei si fosse opposta più volte, l’avrebbe baciata ricorrendo alla forza. Nonostante il colloqui sia stato interrotto più volta, Xianzi non è riuscita a dire nulla perché paralizzata dalla paura e dalla vergogna.

Zhu, dal canto suo, ha sempre negato e si è definito vittima di una campagna diffamatoria e di una «tremenda umiliazione». Xianzi, che si è recata subito dalla polizia dopo l’episodio, si sarebbe sentita dire che non era il caso di denunciarlo poiché esempio nazionale di «energia positiva», ovvero una campagna nazionale per la promozione di una buona condotta. Una persona, insomma, la cui reputazione sarebbe dovuta rimanere immacolata.



MeToo Cina, la storia dell’icona bloccata su Weibo

Xianzi ha raccontato al sua storia alla BBC, parlando della sua esperienza su Weibo (la versione cinese di Twitter). Sul social la donna ha creato una sua community e trovato sostegno. Un sostegno che le è venuto totalmente a mancare quando, provando ad accedere al suo profilo, lo ha trovato bloccato. «Gli account delle persone vengono costantemente sospesi – ha detto Xianzi – non c’è modo per me di contattarli. Ho perso la possibilità di dire loro grazie. Negli ultimi tre anni le femministe cinesi sono state separate le une dalle altre».

Con quel profilo, negli ultimi tre anni, Xianzi ha combattuto non solo la sua battaglia legale ma ha fatto campagna per le vittime di molestie sessuali. Il suo seguito è arrivato a oltre 300 mila persone. La sua notorietà parlando di queste tematiche è aumentata proporzionalmente agli sforzi delle autorità cinesi di censurarla, arrivando a oscurare anche sinonimi che fanno riferimento al MeToo Cina.

Non solo il suo account è stato bloccato ma anche quello dei sostenitori che si sono espressi in maniera esplicita a suo favore. Xianzi ha anche accusato il tribunale di averle dato ben poche opportunità sia di parlare che di presentare ulteriori prove a favore della sua versione. Addirittura la corte le ha detto che non era «necessario» che Zhu fosse chiamato a testimoniare.

Oltre a questo caso, anche quello della dipendente che ha denunciato un superiore di Alibaba è stato archiviato. Le accuse sono state fatte cadere nonostante la polizia avesse accertato l’avvenuto contatto tra i due.