Il caso dei cavi tranciati nel Mar Rosso e la paralisi del 25% della rete internet

Perché sono così importanti e perché la situazione che si è verificata nei giorni scorsi può suonare come campanello d'allarme

13/03/2024 di Gianmichele Laino

Ma c’è davvero la possibilità che internet si possa spegnere, un giorno, a causa di un’azione massiccia contro i cavi sottomarini di proprietà di consorzi o di aziende di telecomunicazioni? In realtà, vista l’evoluzione della rete e del network, questa domanda presenta fortissime sfumature di paranoia. Oggi, infatti, si stanno individuando sempre più alternative alle tradizionali reti attraverso cui si snodano queste infrastrutture. Tuttavia, il danneggiamento di cavi sottomarini (sui quali si basano le telecomunicazioni a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento) potrebbe causare enormi sofferenze all’ecosistema. Per questo motivo, dunque, l’episodio che è stato denunciato da HGC Global Communications, la compagnia di telecomunicazioni di Hong Kong, e che si è verificato nel Mar Rosso ha seriamente messo a rischio il 25% del traffico internet globale.

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Cavi tranciati nel mar Rosso, come possono impattare sulla rete internet globale

Le responsabilità dell’incidente sono state attribuite – si badi bene: l’attribuzione è stata fatta dai media, non da chi ha denunciato il fenomeno – ai ribelli Houti che stanno operando nello Yemen, che sono collegati al regime iraniano e che stanno facendo aumentare le tensioni militari all’interno di un punto cruciale per la geopolitica mondiale come il mar Rosso. Tuttavia, limitare i rischi di malfunzionamenti alla rete internet esclusivamente ai difficili equilibri geopolitici e ai conflitti in corso può essere riduttivo. Si pensi, infatti, alla vulnerabilità che una infrastruttura del genere possa avere, in caso di incidenti. Lo stesso episodio che si è verificato negli ultimi giorni di febbraio 2023, infatti, potrebbe essere legato a una nave affondata, che avrebbe tranciato un cavo con la propria ancora. Insomma, un effetto collaterale della tensione nell’area e non una vera e propria azione di guerra deliberata contro l’infrastruttura.

Gli equilibri delle telecomunicazioni sono molto sottili. In ogni caso, i ribelli houti avevano affermato – nelle scorse settimane – che non era loro intenzione intaccare queste infrastrutture. Ma le garanzie e le rassicurazioni non possono essere confinate e limitate esclusivamente a eventuali attacchi. Anche in caso di incidenti “collaterali”, infatti, le eventuali riparazioni – che normalmente vengono effettuate nel giro di qualche ora – si complicano notevolmente: Seacom, una delle aziende che è proprietaria di una delle infrastrutture che sono state interessate dall’incidente nel mar Rosso, ha detto che non si potrà far partire l’operazione di riparazione prima di un mese. Questo, ovviamente, per garantire che ogni cosa avvenga in sicurezza (tra le varie operazioni necessarie, ad esempio, la richiesta delle autorizzazioni alle autorità yemenite che potrebbero essere concesse non prima di otto settimane).

I cavi sottomarini hanno sempre rappresentato il punto debole di internet nel mondo. Questo nonostante le innovazioni e gli investimenti in questo settore: se prima erano necessarie importanti concentrazioni e società tra le principali telco del pianeta per realizzare queste infrastrutture, il ruolo di alcuni operatori come Amazon, Google e altri ha portato a investimenti di grandi capitali, al fine di poter costruire dei network sottomarini proprietari. Oggi, sembra che la maggiore garanzia non sia data tanto dai materiali utilizzati o dai livelli di sicurezza adottati, quanto sull’individuazione di linee di transito alternative a quelle attuali (si veda il caso del mar Rosso), meno battute da venti di guerra e tensioni internazionali.

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