La bufala lanciata da Matteo Salvini sul «business dei difensori d’ufficio che fanno milioni con gli immigrati»

Lo aveva detto al Corriere della Sera questa mattina, lo ha ribadito nel corso del suo intervento in Senato. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha pronunciato questa frase: «Il 99% delle domande d’asilo respinte è oggetto di ricorso e c’è il business degli avvocati di ufficio che fanno soldi sulla pelle di questi disgraziati e occupano le aule dei tribunali. Anche su questo occorre fare qualcosa». Peccato che il leader della Lega abbia detto una serie di inesattezze in proposito.

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Bufala Salvini difensori ufficio, la risposta degli avvocati

Come sottolineato anche da una lettera aperta al ministro dell’Interno pubblicata dal Consiglio Nazionale Forense (l’organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana), «l’istituto della difesa d’ufficio richiamato non c’entra nulla con la materia della migrazione e delle richieste d’asilo. La difesa d’ufficio, strumento di democrazia avanzata, è garantita da tutte le carte dei diritti fondamentali nazionali e internazionali ed è riconosciuta come strumento a tutela di una difesa effettiva».

Bufala Salvini difensori ufficio, come funziona realmente l’iter

Andrea Mascherin, presidente del Consiglio Nazionale Forense, ha voluto individuare il percorso della difesa d’ufficio in campo di immigrazione, proprio quella procedura che Matteo Salvini ha definito «business». In una prima fase non è prevista la presenza di alcun avvocato. Quest’ultimo, invece, interviene soltanto in sede civilistica per eventuali impugnazioni: è qui che il migrante può chiedere di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Un patrocinio che, tra le altre cose, risponde a criteri molto rigorosi e non viene concesso automaticamente. Polemica anche la chiusura della lettera inviata da Mascherin: «Le percentuali di rigetto da lei indicate nella misura del 58% attesterebbero una percentuale di accoglimento del 42%, che è percentuale assai elevata e non sacrificabile – scrive -. Diversamente sarebbe come dire che se in un naufragio non si riuscisse a salvare 58 vite su cento, bisognerebbe fare annegare anche le restanti 42».

(FOTO: ANSA/ETTORE FERRARI)

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