Cosa è stato deciso ieri sera sulla Brexit

Mercoledì 27 febbraio il Parlamento britannico ha discusso alcuni emendamenti sulla Brexit, ormai sempre più vicina. Sono quattro le questioni principali emerse: il piano b di Jeremy Corbyn, il rinvio e un’estensione dell’articolo 50, l’esclusione a priori di un’uscita no-deal e la tutela dei diritti dei cittadini europei nel Regno Unito. I prossimi appuntamenti cruciali sono previsti per il 12,13 e 14 marzo, giorni in cui si dovrebbe arrivare ad una svolta definitiva.

La bocciatura del piano B di Jeremy Corbyn e della Brexit no-deal a priori

Il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn aveva presentato un piano alternativo per promuovere una Brexit “soft”. L’emendamento prevedeva un’unione doganale tra Unione Europea e Regno Unito, mantenendo il paese allineato con le normative del mercato unico e facendolo permanere all’interno delle agenzie europee. Un proposta che però non ha convinto Westminster: 323 voti per la bocciatura contro i 240 che lo supportavano. Il partito laburista aveva dichiarato nei giorni precedenti che inciso di bocciatura avrebbe formalmente sostenuto un nuovo referendum. Un’ipotesi che fino ad ora era rimasta molto teorica, ma che ora potrebbe diventare realtà. Durante la prossima discussione di marzo è molto probabile che il partito laburista presenti un emendamento per chiedere una nuova consultazione elettorale. Bocciatura anche per l’emendamento presentato Ian Blackford che puntava ad escludere a priori una Brexit senza accordo.

Si alla mozione di Theresa May e all’estensione dell’articolo 50

Ad ottenere il consenso e l’approvazione della Camera dei Comuni è stata invece la mozione presentata da Theresa May per i negoziati supplementari con Bruxelles.. Non si tratta di un voto vincolante, ma Westminster ha sostenuto il primo ministro nel proseguire le negoziazioni con Bruxelles per arrivare ad un nuovo accordo su Brexit. May ha ribadito la sua convinzione di riuscire a chiudere le trattative entro il 12 marzo. Approvato, con 502 voti favorevoli e 20 contrari, anche l’emendamento della laburista Yvette Cooper, che obbliga la premier May a chiedere un rinvio per un tempo limitato dell’uscita del Regno Unito dalla Ue. Lo scenario preannuncia, se anche il nuovo accordo del 12 marzo venisse bocciato, la possibilità per la Camera di poter votare il giorno successivo sull’opzione di  un divorzio no-deal, cioè senza accordo. Immediatamente dopo Westminster potrà votare in merito alla proroga dell’articolo 50, che farebbe slittare l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea oltre la data del 29 marzo.

La tutela dei cittadini europei promossa dal deputato anglo-italiano, costretto a dimettersi

A mettere tutti d’accordo ci ha pensato un deputato Tory di origini italiane. L’emendamento presentato dallo scozzese Alberto Costa è stato approvato all’unanimità, e impegna il gabinetto britannico a concordare insieme a Bruxelles, che si arrivi ad un accordo o ad un no-deal, un accordo che tuteli sia i diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito, che superano i 3 milioni e contano 700mila italiani, sia i diritti dei britannici trasferitisi nel vecchio continente. Nonostante il successo in pompa magna, Alberto Costa si è dimesso dal governo. Questo perché, secondo le spiegazioni rilasciate da Downing Street, essendo un membro del governo non avrebbe dovuto per prassi presentare un emendamento alla mozione del suo stesso governo. Un cavillo a cui Costa ha deciso di non sottostare e, pur avendo ricevuto il pieno sostegno della Camera, ha dovuto lasciare illuso posto. Su Twitter ha scritto di essere «felice che sia stato approvato» il suo emendamento, e ha ringraziato «immensamente tutti i colleghi che mi hanno sostenuto».

(Credits immagine di copertina:  © Xinhua via ZUMA Wire)

 

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