Il lato oscuro dell’app di messaggistica anonima che spopola su Instagram

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Il successo dell'applicazione mobile, sia per iOS che per Android, sta facendo emergere anche alcune problematiche relative proprio al vasto utilizzo

Non è la prima e non sarà l’ultima. La storia di Internet, infatti, è ricca di applicazioni o piattaforme che si basano su un principio ben definito che sembra essere molto amato dagli utenti: inviare messaggi rimanendo completamente in forma anonima. Insomma, parlare o scrivere qualcosa a qualcuno senza che il destinatario sia in grado di risalire all’identità (né fisica né digitale) del mittente. E nel mese di giugno, c’è stata una grande attrazione mediatica nei confronti dell’app NGL.



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L’acronimo che compone il nome di questa applicazione sta per “Not Gonna Lie“, che tradotto in italiano significa “non mentirò”. Ed è questo il principio: rimanendo in forma anonima, una persona-utente si sente più libero nell’esprimere il suo pensiero, le sue domande e le sue risposte. Un lenzuolo dietro il quale nascondersi per evitare che la propria identità diventi di dominio pubblico. E tutto ciò si unisce alle dinamiche delle domande che possono essere poste, attraverso le Stories, su Instagram. Perché, un a volta scaricata l’app NGL, basterà impostare il proprio profilo e collegarlo (basta creare un link ad hoc sull’applicazione) al proprio account Instagram. In che modo? Ce lo spiega la stessa pagina dell’app sugli store per iOS e Android.



La linea di principio, dunque, è la stessa della piattaforma Tellonym, su cui Giornalettismo – lo scorso anno – realizzò due approfondimenti, andando ad analizzare le possibilità concesse dal sito e anche tutti i lati oscuri che derivano (o possono derivare) da questa dinamica di invio di messaggi in forma anonima.



NGL, l’app che permette di inviare messaggi anonimi su Instagram

E l’azienda che cura e sviluppa NGL, sostiene – come si può leggere sul sito ufficiale – di essere molto attenta alle possibili derive dialettiche che possono palesarsi con l’utilizzo di questa applicazione. In particolare, il rischio di fagocitare bullismo e sessismo (ma anche omofobia e odio xenofobo o razzista) sembra essere scongiurato dall’utilizzo di «algoritmi di deep learning e di corrispondenza dei modelli di caratteri basati su regole per filtrare il linguaggio dannoso e il bullismo. Il nostro algoritmo può anche rilevare il significato semantico degli emoji e il nostro web scraper estrae esempi specifici di uso contestuale di emoji».

I lati oscuri

L’impegno, dunque, è dichiarato e si basa sull’utilizzo di algoritmi e intelligenza artificiale. Ma NBC, solo la scorsa settimana, ha testato l’applicazione e i paletti di quegli algoritmi sui filtri linguistici. Buona parte delle frasi riconducibili alla sfera semantica del bullismo sono state “bloccate” – come «sei brutto», «sei grasso», «sei un perdente» -, ma non tutte. Per esempio, termini molto in voga nel limbo della dialettica giovanile bypassano questi filtri (l’esempio citato dalla testata americana è “KYS”, ovvero “Kill your self”, “ucciditi”). Ma, oltre a questo, sembra non esserci – almeno per il momento – un percorso di sanzioni: chi prova a inviare messaggi minatori (come quelli che vengono bloccati) può comunque continuare a utilizzare l’applicazione. Insomma, si sanziona il messaggio (che dunque non viene inviato), ma non l’utente.