Amanda Knox in Italia accusa: «Su di me solamente falsità. L’inchiesta è stata contaminata»

15/06/2019 di Enzo Boldi

Il suo ritorno in Italia era atteso e le prime parole di Amanda Knox al Festival della Giustizia Penale di Modena stanno già lasciando il segno. L’ex studentessa americana, accusata per anni del delitto di Perugia – insieme al suo ex fidanzato Raffaele Sollecito – prima della sentenza di assoluzione di quattro anni fa, ha raccontato le sue paure e i suoi timori per nuove accuse. La ragazza ha anche raccontato nuovamente la dinamica dei fatti accaduti nella notte di quel 1° dicembre 2007, quando nella villetta di via della Pergola venne barbaramente uccisa la studentessa inglese Meredith Kercher.

«Il primo novembre 2007, un ladro, Rudy Guede è entrato nel mio appartamento, ha violentato e ha ucciso Meredith. Ha lasciato tracce di Dna e impronte. È fuggito dal Paese, processato e condannato – ha raccontato Amanda Konx dal palco del Festival della Giustizia penale in corso a Modena -. Nonostante ciò, un numero importante di persone non ha sentito il suo nome, questo perché pm, polizia e giornalisti si sono concentrati su di me. Giornalisti chiedevano di arrestare un colpevole. Hanno indagato me mentre Guede fuggiva. Non basandosi su prove o testimonianze».

Amanda Knox ospite del Festiva delle Giustizia penale di Modena

Secondo la ragazza americana, ora 31 enne, su di lei sono state inventate di sana pianta molte storie che non avevano nulla a che fare con la ricostruzione di quanto accaduto quella notte nella villetta di Perugia che condivideva con Mez: «Sul palcoscenico mondiale io ero una furba, psicopatica e drogata, puttana. Colpevole. È stata creata una storia falsa e infondata, che ha scatenato le fantasie della gente. Una storia che parlava alle paure della gente. Non potevo più godere del privilegio della privacy. La mia famiglia veniva descritta come un clan. Io prima del processo ero sommersa da una montagna di fantasie da tabloid».

La condanna in primo grado, prima dell’assoluzione

Amanda Knox parla apertamente di inchiesta contaminata dal peso dell’opinione pubblica che si era lasciata ingannare da voci inventate. E così, secondo l’americana, è stata partorita quella sentenza di condanna in primo grado a 26 anni di reclusione: «Avevo zero motivazioni per uccidere la mia amica, zero tracce del mio dna sono state sul luogo del delitto. Poi ho sentito il giudice pronunciare la parola ‘colpevole’. Il verdetto mi è caduto addosso come un peso schiacciante, non potevo respirare. Le telecamere lampeggiavano mentre uscivo dal tribunale».

E proprio il peso di quelle telecamere avrebbero influenzato i magistrati di quel processo: «Ero innocente, ma il resto del mondo aveva deciso che ero colpevole, avevano riscritto la realtà. Passato, presente, futuro non contavano più. I pm e i media avevano creato una storia e una versione di me adatta a quella storia». Oggi il ritorno in Italia, con tanti timori e con i consigli che le hanno dato parenti e amici: «Oggi ho paura di essere molestata e derisa e incastrata e ho paura che nuove accuse mi saranno rivolte. Molti pensano che la mia presenza qui possa profanare la memoria di Meredith»

(foto di copertina: ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)

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