“Aiutiamoli a casa loro”? Ecco perché è solo uno slogan

Un flusso di denaro fondamentale alla sopravvivenza di più del 10% della popolazione mondiale. Nel 2018 i lavoratori stranieri hanno inviato qualcosa come 529 miliardi di dollari verso le aree più svantaggiate del pianeta, una cifra che, secondo la Banca Mondiale, è di ben tre volte superiore ai fondi mondiali destinati allo sviluppo e agli investimenti. Un trend che, secondo i dati della Banca Mondiale, dovrebbe essere in piena ascesa anche nei prossimi anni e che si traduce in benessere e sviluppo. Secondo l’Ifad, quasi il 75% delle rimesse mondiali vengono infatti utilizzate per acquistare alimenti, coprire le spese mediche ed educative, sostenere mutui e affitti. Un flusso che si intensifica nei periodi di crisi in cui i fondi inviati dai connazionali all’estero sono essenziali per difendersi dagli effetti di carestie o disastri naturali, prevenendo così catastrofe umanitarie di vaste dimensioni.

Le rimesse in Italia: il record dei bengalesi e il mistero dei cinesi

E in Italia? Solo nel 2018, i soldi inviati a casa dai lavoratori stranieri residenti nel nostro Paese ammontavano a quasi 6 miliardi di euro. Per la precisione 5.8 miliardi di euro secondo i dati di Bankitalia, circa 6.2 miliardi secondo le elaborazioni della Fondazione Leone Moressa, basati sull’elaborazione degli stessi dati sull’indice dei prezzi al consumo.  Somme pari allo 0.35% del nostro PIL o, se preferite, pari a quanto il nostro Paese ha speso per la digitalizzazione della pubblica amministrazione nel corso dello scorso anno.

Made with Flourish

Il record di spostamento di risorse finanziarie verso i Paesi di origine spetta nel 2018 ai bengalesi. Con oltre 700 milioni di euro inviati verso la nazione di origine, il Bangladesh è la terra che ha beneficiato maggiormente delle rimesse provenienti dal nostro Paese. Secondo stime della Fondazione Moressa, in media ogni bengalese ha inviato più di 450 euro al mese verso la terra natale. Seguono, per quantità di rimesse, paesi come Romania, Filippine, Senegal, Pakistan, India, Marocco e Sri Lanka.

Considerevole, se rapportato alla presenza fisica sul nostro territorio, i soldi che i senegalesi hanno inviato a casa; ogni cittadino dello stato africano ha spedito, lo scorso anno, più di 300 euro al mese verso la sua terra natale.

Inspiegabile invece, il calo delle rimesse verso la Cina, passate dai 2.7 miliardi del 2012 ad appena 21 milioni di euro del 2018. «Vi sono diverse ipotesi: una è quella di maggiori investimenti in Italia, ad esempio nelle imprese. Può dipendere però anche dall’intensificarsi dei controlli su transazioni irregolari. Non è da escludere che parte di quelle transazioni abbia trovato altre vie, ancor meno tracciabili» osserva Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa, istituto di studi e ricerche nato per monitorare l’impatto delle dinamiche della presenza degli stranieri sul nostro territorio.

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Per quanto riguarda invece le province, il primato dei soldi spediti dai lavoratori stranieri verso l’estero spetta a Roma, con oltre 800 milioni di euro. Seguono Milano, Napoli, Torino, Brescia, Firenze, Bologna, Genova e Bergamo.

Significativi i flussi che, dalla provincia di Roma si dirigono verso Bangladesh e Filippine, mentre variegato il flusso delle rimesse che da Milano si spostano verso le Filippine e Bangladesh, ma anche Sri Lanka, Perù ed Ecuador. E gli spostamenti di denaro sembrano spesso essere il riflesso di specifiche realtà territoriali ed esigenze produttive legate al territorio come nel caso dell’emigrazione ecuadoriana a Genova, di quella indiana a Latina, di quella afghana nel bresciano.

Perché i sovranisti frenano lo sviluppo locale

E se una persona su nove al mondo, ha bisogno delle rimesse dei connazionali per sopravvivere, uno dei problemi allo spostamento di soldi verso i paesi più svantaggiati è sicuramente il costo delle commissioni. Se per spostare soldi verso i Paesi del G7 si paga appena il 2% di commissioni, questa percentuale sale 7% per i flussi verso il resto del mondo. Le cause? Il cartello esercitato dalle agenzia di money transfer, che impediscono di fatto un ribasso delle imposte sugli spostamenti di denaro e l’atteggiamento di sospetto dei paesi occidentali che vedono, negli spostamenti, il rischio di attività illecite come il terrorismo internazionale o il riciclaggio di denaro sporco.

Quel che è certo è che, a casa nostra, mentre si riempivano di parole come “Aiutiamoli a casa loro” per frenare gli arrivi, i sovranisti nostrani hanno di fatto penalizzato le rimesse dei lavoratori stranieri e, di conseguenza, lo sviluppo di larghe porzioni della popolazione mondiale. Lo scorso governo gialloverde è stato infatti il solo in Europa, e uno dei pochi al mondo, a tassare le rimesse degli stranieri residenti. La nuova imposta dell’1.5% verso i soldi inviati all’estero attraverso i money transfer, introdotta nel dicembre 2018, su cui pende un parere negativo dell’Antitrust, potrebbe di fatto scoraggiare in futuro i flussi di denaro e i finanziamenti verso le aree più svantaggiate del pianeta o spingere verso versamenti poco “tracciabili”. Per tutto il resto ci sono gli slogan e i meme pronti all’uso.

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