Agenda 2010, come la Germania si è trasformata da problema a leader dell’Europa
17/03/2013 di Andrea Mollica
Solo dieci anni fa la Germania era “the sick man of Europe”, la definizione che la stampa finanziaria anglosassone e non solo affibbiava in modo continuo ai grandi paesi del Vecchio Continente in crisi economica. Berlino è uscita dalle sue difficoltà anche grazie alle riforme del governo rosso-verde di Gerhard Schröder, chiamate Agenda 2010. Una pesante revisione dello stato sociale che ha permesso alla Germania di tornare più competitiva, ma anche di riscoprirsi più povera.
GERMANIA IN CRISI – Il 14 marzo del 2003 la Germania veniva scossa da una rivoluzione. L’allora cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder , rieletto pochi mesi prima per pochissimi voti nonostante una situazione economica piuttosto difficile, annunciò in un discorso davanti al Bundestag un pacchetto di riforme che avrebbero “ridotto le prestazioni dello stato, incentivato la responsabilità personale e richiesto maggiori contributi personali dai singoli”. La terza economia mondiale risentiva ancora del mostruoso sforzo finanziario compiuto per la riunificazione, costata circa 100 miliardi all’anno, per una somma pari a più di mille miliardi e cinquecento milioni di euro, più o meno l’ammontare del Prodotto interno lordo del nostro paese. La Germania, dopo la crisi valutaria dello Sme di inizio anni novanta, aveva smesso di svolgere il suo ruolo di tradizionale locomotiva dell’economia europea. I disoccupati erano cresciuti continuamente negli anni novanta, spegnendo rapidamente la festa seguita alla caduta del Muro di Berlino. Nel 2002 i senza lavoro erano tornati sopra la soglia psicologica dei quattro milioni, e a cavallo del nuovo secolo si era imposta la più lunga fase di stagnazione del secondo dopoguerra. La Germania cresceva costantemente in modo inferiore alla media europea. Nel 2000, l’ultimo anno di boom economico prima della recessione di inizio millennio, la media dell’incremento del Pil nella Ue a 27 segnava un tonico +3,9%, mentre Berlino chiudeva con un buono ma distante +3%. Il distacco proseguiva anche nel 2001 quando l’Europa a 27 cresceva con un ritmo del 2,1%, mentre il Pil tedesco aumentava dell’1,5%. Nel 2002 ed il 2003 il distacco si ampliava ancora: primo una crescita zero, e poi un anno in recessione a – 0,4% per il più grande paese europeo, mentre la Ue viaggiava con una crescita pari a +1,3 prima e poi 1,5%. Anche l’Italia, all’epoca, aveva incrementi della ricchezza nazionale superiori a quelli tedeschi.
AGENDA 2010 – Il governo rosso-verde si era insediato a fine 1998 con il proposito di ridare vivacità al gigante tedesco, colpito dalla “Reformstau”, l’incapacità di riformarsi per ritrovare l’antico primato economico. I primi anni dell’esecutivo guidato dal cancelliere Gerhard Schröder, socialdemocratico, e dal suo Vice Joschka Fischer avevano però prodotto pochi cambiamenti, con l’eccezione di una riforma previdenziale piuttosto significativa. La crescita costante della disoccupazione e la stagnazione economica convinsero Gerhard Schröder ad agire, proponendo un pacchetto di riforme ispirato alla Strategia di Lisbona, da cui prese il nome l’Agenda 2010. Gli interventi più significativi riguardarono il mercato del lavoro. La riforma schröderiana più discussa unificò il sussidio di disoccupazione di lunga durata agli aiuti sociali. L’assegno per i senza lavoro fu ridotto da 2 anni ad 1, e fu introdotto “Hartz IV”, un sussidio di importo minore rispetto al passato e valido solo per chi cercava attivamente un lavoro. Il beneficiario che non dimostrava volontà nel cercare un lavoro viene penalizzato, anche con l’interruzione del versamento. La fusione tra i due tipi di welfare portò alla collaborazione di comuni ed agenzie per l’impiego, al fine di facilitare il ritorno del disoccupato di lungo periodo sul mercato del lavoro. Con la riforma ideata da Peter Hartz, ex capo del personale della Volkswagen, erano introdotti anche i cosiddetti lavori da un euro, ovvero opportunità professionali che permettevano ai disoccupati di lungo periodo di trovare un’occupazione pagata sostanzialmente dallo stato. Lo scopo di questa normativa era l’abbattimento delle spese del welfare, inizialmente fallita ma poi ottenuta, e lo stimolo di politiche attive per il lavoro.
LIBERALIZZAZIONE E TAGLI – L’Agenda 2010 introdusse una liberalizzazione dei servizi per il mercato del lavoro tramite la prima legge del pacchetto Hartz. Furono così fondate le Personal-Service-Agentur, agenzie di lavoro interinale che fecero crescere anche in Germania l’occupazione temporanea. La seconda legge Hartz invece stimolava i disoccupati a fondare delle piccole imprese, Ich Ag, (l’Io Spa, letteralmente), tramite una rete di sussidi e benefici fiscali. All’interno di questa normativa ci fu un ampliamento dei Minijob, lavori retribuiti a 400 euro (prima della seconda legge Hartz la retribuzione era si 325), prima limitati a prestazioni professionali per un massimo di 15 ore. La protezione dal licenziamento per i lavoratori assunti venne aumentata fino alla soglia dei dieci dipendenti per impresa. Allo stesso modo i nuovi posti di lavoro a tempo determinato non furono più calcolati nei limiti imposti dalla legge a queste forme contrattuali. Allo stesso modo l’Agenda 2010 introdusse regole meno rigide per la contrattazione tra imprese e sindacati, favorendo così gli accordi aziendali o all’interno della categorie. L’opposizione conservatrice voleva sostanzialmente cancellare la contrattazione nazionale, ma i socialdemocratici rimasero parzialmente fedeli ai loro alleati, concedendo clausole di apertura alle regole valide per tutte le imprese. Grazie a questa misura partì, con il cosiddetto accordo di Pforzheim, la lunga stagione di moderazione salariale che ha visto le retribuzioni dei lavoratori tedeschi crescere meno della produttività delle loro aziende. Il costoso sistema di welfare tedesco fu rivisto sia con Hartz IV, che con l’aumento dei contributi individuali al finanziamento della sanità pubblica, al fine di fermare la continua crescita dei contributi e del costo del lavoro. Allo stesso tempo fu cancellata una lunga liste di spese in prestazioni sanitarie e medicinali coperte dallo stato.
STIMOLO ALL’ECONOMIA – La pars destruens dell’Agenda 2010 era molto dura, vista la pesante riduzione delle prestazioni sociali. La riforma previdenziale era già stata affrontata un anno prima, e la Germania si trovò, dopo neanche cinque anni di governo socialdemocratico, con un welfare assai meno generoso. Schröder però rimarcò però il carattere progressista di queste riforme. La protezione dal licenziamento, un equivalente sui generis del nostro articolo 18, non fu toccata nella sostanza, così come le associazioni industriali e le forze conservatrici non ottennero l’abolizione, da sempre auspicata della cosiddetta Mitbestimmung. Questo istituto regola la codeterminazione del capitale e del lavoro nella definizione delle strategia di un’azienda, e vale per le imprese di medio o grandi dimensioni. Il welfare fu adattato secondo il leader della Spd alle trasformazioni demografiche, che rendevano la Germania uno dei paesi più anziani del mondo. Allo stesso modo la riduzione dei costi per la spesa sociale si aggiunse ad un pacchetto di stimolo per l’economia, basato sull’aumento degli investimenti in formazioni, ed una lunga serie di sgravi fiscali. Le aliquote sulla tassazione del reddito furono ridotte, al 15% per il primo scaglione ed al 42% per quello massimo. Prima dell’arrivo dei rosso-verdi al governo le aliquote sul reddito andavano da un minimo del 25,9% ad un massimo del 52%. Le due riforme fiscali di Gerhard Schröder portarono ad una diminuzione della tassazione pari a poco meno di 60 miliardi di euro. Un pacchetto di riforme sostanzialmente modellato sulla cosiddetta economia dell’offerta fu ampliato dalla mobilitazione di nuovi investimenti pubblici dell’istituto Kreditanstalt für Wiederaufbau, la banca statale simile alla nostra Cassa e Depositi Prestiti.
RISULTATI CONTROVERSI – L’Agenda 2010 scatenò un’ondata di proteste nella base progressista della socialdemocrazia tedesca, con la ribellione guidata dai sindacati. Schröder crollò subito nei sondaggi, visto che il cancelliere aveva tradito una delle sue promesse elettorali più importanti, lo stimolo dell’economia senza interventi di riduzione sul welfare. L’opposizione conservatrice, guidata dalla Merkel, incalzò l’esecutivo rosso-verde sottolineando come le riforme previste fossero comunque troppo timide. Il primo impatto dell’Agenda 2010 fu in realtà fallimentare. I costi dei sussidi di disoccupazione Hartz IV schizzarono verso l’alto, visto che i nuovi calcoli delle persone da considerare in cerca di lavoro fecero aumentare a più di 5 milioni il numero dei disoccupati. Il primo anno Hartz IV costò 25 miliardi di euro, più di 11 rispetto al previsto. Il 2003 però si chiuse in recessione, e nel 2004 la ripresa fu timida come nel 2005, decisamente inferiore rispetto alla media europea. Il combinato di basso incremento del Pil e spese superiori al previsto fece schizzare verso l’alto il deficit tedesco. La Germania, insieme alla Francia, pensionarono così il Patto di Stabilità e di Crescita, che prevedeva sanzioni per gli stati membri dell’eurozona che non rispettavano i criteri di un deficit massimo del 3%. La riforma del Patto fu in realtà già annunciata da Gerhard Schröder quando parlò di obiettivi di bilancio che non sarebbero dovuti essere interpretati in modo statico. La Germania però si riprese, e da allora il mondo si è stupito del “nuovo miracolo del lavoro” tedesco. Nella Repubblica federale lavorano 42 milioni di persone, record assoluto, e dal 2005, quando l’intero pacchetto dell’Agenda 2010 è entrato in vigore, sono stati creati quasi 3 milioni di posti di lavoro. La Germania cresce stabilmente più dell’eurozona dal 2006, con la sola eccezione del 2008, quando la crisi finanziaria colpì in modo severo il sistema finanziario tedesco. L’altra faccia dell’Agenda 2010 è però la crescita della disuguaglianza, favorita dalla precarizzazione del lavoro. Allo stesso tempo in Germania si sono generati, come rimarca Süddeutsche Zeitung, rapporti di lavoro anglosassoni, caratterizzati da persone occupate, ma che sono comunque retribuite troppo poco per poter vivere in modo dignitoso. Dall’introduzione di Hartz IV più di un milione di persone non è riuscito a uscire da questo sussidio di disoccupazione, rimanendo così con un reddito inferiore ai 400 euro mensili.
EUROPA E SINISTRA IN DIFFICOLTA’ – L’aspetto più contradditorio dell’Agenda 2010 è chi ne ha beneficiato, ovvero Angela Merkel. La cancelleria che avrebbe dovuto essere la Thatcher tedesca si trovò con il lavoro più duro già fatto dalla socialdemocrazia, entrata in crisi proprio per le sue riforme che hanno ripensato il welfare tedesco. Ancora oggi in ogni exit poll le maggiori lamentele degli elettori della Spd al loro partito riguardano l’introduzione di Hartz IV. Dal 2003 la socialdemocrazia è entrata in una crisi di consenso, che ha conosciuto momenti di notte profonda come quando nel 2004 più di centomila iscritti abbandonarono il partito più antico del mondo. L’Agenda 2010 ha messo inoltre in difficoltà l’Europa e i partner commerciali della Germania. Mentre negli anni del credito facile i prezzi crescevano stabilmente nei paesi come Spagna o Grecia, il sistema produttivo tedesco ha messo in atto una strategia di deflazione salariale che l’ha reso ancora più competitivo nei confronti dei partner europei. Gli enormi surplus della bilancia commerciale tedesca nei confronti della periferia dell’unione monetaria risentono anche delle scelte operate dieci anni fa dal governo di Gerhard Schröder. Ancora oggi la sua eredità è molto controversa: se la nemica di un tempo, Angela Merkel, ne lodò il coraggio ai tempi della Grande Coalizione, la sinistra ancora oggi non sa se rivendicare gli effetti di quelle riforme, oppure ripensarle con un maggior attenzione al suo messaggio tradizionale di giustizia sociale.