101 franchi tiratori, Martina, Orlando e Orfini hanno lavorato per far fallire l’elezione di Prodi alla presidenza della Repubblica

19/04/2018 di Redazione

101 franchi tiratori, chi ha impallinato Prodi è una domanda che non ha trovato risposta a cinque anni di distanza. Il 19 aprile 2013 Romano Prodi riceveva al quarto scrutinio per l’elezione del capo dello Stato solo 395 voti, ben 101 in meno rispetto ai 496 a disposizione del centrosinistra che l’aveva indicato. Dopo quel fallimento, Prodi si ritirò dalla corsa per il Quirinale, e Pierluigi Bersani si dimise dalla guida del PD, rinunciando definitivamente al tentativo di formare un governo.

101 franchi tiratori, Martina, Orlando e Orfini hanno lavorato per far fallire l’elezione di Prodi alla presidenza della Repubblica

In occasione del quinto anniversario di quel fallimento il gornalista della Stampa Fabio Martini ha ripercorso su Facebook le spinte che portarono al fallimento della candidatura dell’ex presidente del Consiglio. Martini risponde all’articolo del direttore dell’Espresso Marco Damilano, che ha evidenziato il ruolo di Matteo Renzi nella vicenda dei 101 franchi tiratori. Per il giornalista della Stampa l’ultimo segretario del PD, ora dimessosi, ha avuto invece un ruolo da comprimario.

I 101 che affossarono Prodi

Nel suo lungo post su Facebook Fabio Martini parte dall’elezione di Laura Boldrini e Pietro Grasso a presidenti di Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, indicati da Bersani nonostante il centrosinistra non avesse una maggioranza chiara in Parlamento. Per la presidenza della Repubblica il segretario del PD dell’epoca però cambia schema, seguendo la Costituzione che per le prime tre votazioni impone un quorum rafforzato dei due terzi dell’assemblea, formata da deputati, senatori e delegati regionali.  Bersani propone Franco Marini, appoggiato dal Pdl e dalla Lega, che però nella prima votazione ottiene solo 521 voti.

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Il PD si spacca in modo platealmente, col gruppo dei parlamentari vicini a Matteo Renzi che vota per Sergio Chiamparino, e altri che invce optano per Stefano Rodotà, candidato del M5S apprezzato da molti elettori di sinistra. «Alla prima votazione Marini resta sotto il suo plafond potenziale, anche se i voti ottenuti (521), avrebbero garantito la sua elezione a partire dal quarto scrutinio… Ma a questo punto Bersani, con uno scarto, ricambia di nuovo gioco, passa dalla maggioranza bipartisan a quella ristretta: nel giro di poche ore “scarica” Marini (che rimane sbalordito ma non protesta pubblicamente) e mette in pista Romano Prodi. Un cambio brusco che suscita il risentimento dei grandi elettori ex popolari del Pd: almeno una settantina. Cifra da annotare mentalmente. Ma come mai un cambio così brusco? Nelle ore che avevano preceduto e seguito il voto, diversi “grandi elettori” del Pd, in particolare quelli emiliani, erano stati raggiunti da numerosi sms: ma quale Marini? Appoggiate Rodotà! Alcuni dei deputati presi di mira, rispondevano ai loro elettori: Rodotà? Ma lo sapete che è il candidato dei Cinque stelle? Ma tanto era bastato a Bersani per abbondonare un cavallo e salire su un altro».

 

 

Martini rimarca sul suo profilo Facebook come Franco Marini abbia spiegato che Bersani non gradiva la candidatura di D’Alema perché l’avrebbe ostacolato nel suo tentativo di diventare presidente del Consiglio. «Ma nella notte tra il 18 e il 19 aprile Massimo D’Alema rompe gli indugi: anche lui vuole cimentarsi nella corsa presidenziale. Bersani preferisce Prodi? Bene, saranno i “grandi elettori” del Pd e di Sel a decidere. Una scelta da compiersi a scrutinio segreto», scrive Fabio Martini: quel voto però non ci sarà mai. Al teatro Capranica, quando Bersani propose il nome di Prodi, partì un’ovazione.

 

101 franchi tiratori
Come promesso, Elly Schlein e gli OccupyPd hanno consegnato a Romano Prodi, a Bologna, la maglietta ‘Siamo piu’ di 101′ che è simbolo del movimento, nato all’indomani del voto dei 101 parlamentari del Pd che hanno bocciato il professore alla presidenza della Repubblica, prefigurando il Governo delle avversate ‘larghe intese’ con il Pdl.
ANSA

 

Prodi presidente della Repubblica bloccato da D’Alema e Rodotà

Anna Finocchiaro, che avrebbe dovuto candidare Massimo D’Alema alla presidenza della Repubblica, preferì non intervenire, e il PD propose con un’acclamazione Prodi. L’ex presidente del Consiglio, scrive Martini, è lasciato solo nel tentativo di cercare i voti per diventare capo dello Stato. «Visto che dal Pd nessuno si preoccupa di coinvolgere chi può portare quei voti decisivi (e cioè Monti, Rodotà, Grillo) è Prodi stesso a doverlo fare. Mobilitandosi dal Mali, dove si trova per una missione Onu. Telefona a Massimo D’Alema, che è sincero e gli dice: «La situazione, dopo l’esito del voto su Marini, è molto confusa e tesa». Prodi annota mentalmente: D’Alema non mi farà votare dai suoi. Poi chiama il suo vecchio amico Mario Monti, che gli dice: «Romano la tua candidatura è divisiva…». E pare che alluda anche ad un futuro incarico che l’eventuale Prodi al Quirinale, potrebbe dare proprio a lui. Prodi dice che non può garantire nulla, ma scuote la testa a annota: fuori due. In quelle ore convulse chi può ancora fare la differenza è Stefano Rodotà, votato fino a quel momento dai Cinque Stelle. Vanno da lui i capigruppo Crimi e Lombardi per chiedergli se sia pronto a lasciare il campo a Prodi, ma lui non molla. Successivamente uno dei due capigruppo ammise: «Eravamo sicuri che Rodotà si sarebbe ritirato…>. Invece Rodotà non si ritira e non deflette neppure quando lo chiama Prodi: «Mi deve chiamare Bersani….».

 

I nomi dei 101 franchi tiratori

Romano Prodi capisce che la situazione è molto difficile: D’Alema gli ha spiegato che il PD non è compatto sul suo nome, mentre da altre parti non arriveranno voti in soccorso alla sua candidatura, quantomeno in modo consistente, alla quarta votazione. Una parte dei 496 grandi elettori del PD decide però di affondare Romano Prodi, rompendo in modo clamoroso l’indicazione del voto. Fabio Martini fa diversi nomi tra chi ha favorito il lavoro dei 101 franchi tiratori, di grande rilievo: Maurizio Martina, attuale reggente del PD, il presidente del partito Matteo Orfini e Andrea Orlando. «Intanto in Parlamento si perfeziona l’affondamento. Ha scritto Sandra Zampa nel suo libro su quei tre giorni che il senatore Ugo Sposetti (dalemiano doc) «faceva telefonate per sollecitare un no a Prodi», ma non era «l’unico telefonista in servizio». Molto attivi nel contrasto anche i “giovani turchi” – Orfini, Martina, Orlando – ex Ds che in quel momento “trattavano” postazioni (come avrebbero fatto ma molti mesi dopo con Renzi) con il segretario in carica, Bersani. In quelle ore dunque non ci fu una regia unica e tantomeno un “uomo nero”. Si crearono però le condizioni perché potessero scorazzare diverse tribù. Quelle «offese» dagli errori e da una gestione affrettata e superficiale e altre che investivano sul proprio futuro », conclude Fabio Martini.

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