I bambini siriani scappati dalla guerra costretti a lavorare per sopravvivere

12/06/2014 di Valentina Spotti

Quando vivevano in Siria, nella loro grande casa nelle campagne a nord di Aleppo, Mariam e la sua sorellina Ragala consideravano il lavoro una “cosa da grandi”. Oggi hanno rispettivamente dieci e undici anni, e sono dovute diventare “grandi” in fretta. Come la maggior parte dei loro coetanei siriani fuggiti in Libano a causa della guerra, le due bambine lavorano nei campi: «È bello avere un lavoro, perché abbiamo bisogno di soldi per vivere».

AP Photo/G. Beals, UNHCR
AP Photo/G. Beals, UNHCR

12 GIUGNO: GIORNATA MONDIALE CONTRO IL LAVORO MINORILE – Il 12 giugno le Nazioni Unite celebrano la Giornata Mondiale contro il lavoro minorile. Dal 2002 l’ONU, insieme alla International Labour Organization (ILO), dedicano questo giorno per far conoscere al mondo la piaga del lavoro minorile, ancora troppo diffusa nonostante molti paesi l’abbiano messo al bando. Anche in Libano – dove sono arrivati più di un milione di profughi dalla confinante Siria – il lavoro minorile è fuori legge. Ma le famiglie siriane che sono arrivate in questo paese, spesso senza altro bagaglio che i vestiti che avevano indosso, vivono in condizioni povertà estrema: trovare lavoro per loro non è facile e spesso anche i bambini sono costretti a lavorare per provvedere al proprio sostentamento.

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AL LAVORO NEI CAMPI PER SEI DOLLARI AL GIORNO – Mariam e Ragala, scrive il Guardian, sono solo due esempi tra i tanti: è il quotidiano britannico a raccontare la loro storia, uguale a quella di tanti altri bambini che lavorano nei campi della valle di Beqaa, non lontano dall’accampamento dove vivono con le loro famiglie. Ogni mattina, alle sei, un camion arriva per prelevarli e portarli nei campi. Lavorano per poco più di sei dollari al giorno anche se un dollaro e trenta centesimi finiscono nelle tasche del “caporale” che coordina il lavoro e recluta i bambini. Prima che la Siria venisse dilaniata dalla guerra civile, nei campi della valle di Beqaa lavoravano gli immigrati siriani e i libanesi. Oggi quei campi sono pieni di donne e di bambini, disposti a lavorare per un salario più basso. «I contadini preferiscono i bambini perché possono fargli quello che vogliono. Li picchiano, li fanno lavorare per ore. Gli uomini adulti reagirebbero» dice Jneid Houssein, un padre che in quei campi ha mandato Ali e Aisha, i suoi due figli di 12 e 11 anni. Lui, invece, è disoccupato. E tra i braccianti libanesi il tasso di disoccupazione sta crescendo sempre di più, come la loro rabbia nei confronti dei profughi siriani che, accettando compensi più bassi, hanno cambiato il mercato del lavoro del Libano.

«IL LAVORO NON MI PIACE» – E, come Mariam e Ragala, tutti questi piccoli lavoratori – quasi schiavi – hanno una storia: «In Siria avevo paura delle bombe. Potevo sentirle cadere vicino a casa mia». Camiran al-Ali ha 12 anni e vive in Libano da otto mesi. Nonostante le bombe, il ragazzino dice di preferire la vita in Siria a quella in Libano, dove è arrivato con la sua famiglia composta da 15 persone. Insieme a due dei suoi fratelli, Camiran ha cominciato a lavorare. Durante la stagione del raccolto, il ragazzino lavora tutti i giorni. Ma il lavoro non gli piace perché «è faticoso. Non riesco a sollevare le cose pesanti e il sole è troppo caldo». Se fosse rimasto in Siria, per lui ci sarebbe stata la scuola dell’obbligo fino ai 18 anni, e a lui sarebbe piaciuto andare all’università.

 

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VENDITORI AMBULANTI – Nonostante la maggior parte di questi piccoli profughi lavorino nei campi, questo non è l’unico lavoro: possono trovare un posto come operai o fare i venditori ambulanti. Possono anche diventare spacciatori di droga o finire nel giro della prostituzione. Per questi bambini il pericolo maggiore è finire a lavorare per le strade: per Beirut è possibile incrociare bimbi non più grandi di tre anni che vagano cercando di vendere fazzoletti, gomme da masticare, fiori o chiedendo l’elemosina. Sono soli, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e vulnerabili. Possono venire derubati, subire violenze sessuali o semplicemente possono essere portati via. Qualcuno è più fortunato degli altri, e dopo il lavoro riesce a frequentare la scuola del campo profughi. Come Ragala che dice di preferire la scuola al lavoro perché «Qui imparo». Da grande vorrebbe diventare una maestra «che è un lavoro migliore che lavorare nei campi».

QUANTI SONO? – Sul numero di bambini costretti a lavorare in Libano non c’è un dato certo: si pensa che possano essere un numero compreso tra i 180.000 e i 300.000 minori, la maggior parte dei quali sarebbero siriani. Nemmeno sulla fine della guerra in Siria esistono dati certi, a parte il fatto che dura da tre anni e che ha già fatto oltre centomila vittime e più due milioni e mezzo di profughi, scappati oltreconfine verso il Libano, la Giordania, la Turchia e l’Iraq.

(Photocredit: SAFIN HAMED/AFP/Getty Images)

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