Pastorino: «Basta balbettare sulla web tax, dobbiamo intervenire sui giganti della rete»

L'ipotesi del deputato di LeU è stata sottoposta al ministro Gualtieri

13/11/2020 di Gianmichele Laino

Quando parliamo di web tax ci troviamo sempre di fronte a una sorta di Isola che non c’è. Perché le azioni che sono state fatte fino a questo momento, non solo in Italia ma su tutto il fronte europeo, sono sempre state piuttosto timide. C’è quasi il timore di proporre il tema della tassazione proporzionata ai ricavi dei giganti del web, gli operatori sul mercato che in questo momento – e particolarmente nel periodo della pandemia – stanno ancora mettendo a bilancio cifre miliardarie. In Italia la riflessione sulla web tax ha prodotto come risultato un passaggio nella legge di bilancio 2020 che ha previsto una imposta del 3% sui servizi effettuati da imprese di rilevanti dimensioni. Ma siamo ancora molto lontani dalla capacità contributiva che queste stesse imprese possono mettere a disposizione. Nell’ultimo periodo, il deputato di LeU Luca Pastorino sta cercando di riportare al centro della discussione politica il tema, richiamando l’attenzione del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

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Web tax, la proposta italiana che parte da Pastorino

Con lui abbiamo provato ad analizzare gli aspetti di una possibile web tax in Italia, alla luce delle premesse che ci sono state in questo momento e, soprattutto, visto il periodo storico di grandissima difficoltà per le piccole e medie imprese commerciali in tempi di pandemia: «Il tema della web tax è stato affrontato negli ultimi anni più volte, ma sempre in modo balbettante – ha spiegato Pastorino a Giornalettismo -. Spesso anche per resistenze a livello comunitario, di interpretazioni non sempre uniformi sui criteri di definizione di una “stabile organizzazione“ da tassare. Insomma, bisogna indicare dove sono effettivamente realizzati i profitti e fare la valutazione su differenti regimi fiscali nei diversi paesi Ue e altro ancora. L’emergenza coronavirus deve accelerare e ampliare il processo di contribuzione e redistribuzione da parte dei colossi del web. Dall’inizio della pandemia e un po’ ovunque, i ricavi da vendite online hanno conosciuto una crescita esponenziale, anche in ragione delle oggettive difficoltà dei cittadini di poter effettuare acquisti di quasi ogni genere attraverso tradizionali canali di distribuzione. E chi ha pagato il conto? La piccola e media impresa che oggi è interessata da interventi pubblici di sostegno non completamente sufficienti. Così leggiamo numeri impressionanti in termini di cessazioni di attività».

Oggi, però, sembra esserci una consapevolezza diversa. Pensiamo a quello che è successo ad Amazon, con la commissaria UE Margrethe Vestager che è intervenuta relativamente a un abuso di posizione dominante da parte del colosso di Jeff Bezos come fornitore di servizi di mercato in Germania e in Francia a danno dei piccoli rivenditori. Un cambio di passo da cui si potrebbe ripartire: «La questione è stata molto dibattuta negli ultimi anni e ha trovato resistenze in normative esistenti e nella difficoltà di uniformare e rendere maggiormente “agibile”, dal punto di vista fiscale, il concetto di stabile organizzazione di impresa nel territorio del singolo stato membro – ha spiegato Pastorino -. La questione sull’opportunità di allestire sedi di società in Paesi con fiscalità agevolata diciamo, è poi tutt’altro che secondaria. Accanto a questi elementi, convivono certamente valutazioni di opportunità e di politica internazionale, legate in particolare modo a – nemmeno troppo velate – minacce di ritorsione commerciale in termini di innalzamento di imposte e dazi doganali su prodotti esportati da paesi dell’Unione».

Cosa deve cambiare in Italia per parlare di web tax

Una web tax che possa prevedere anche dei meccanismi europei e accordi fra stati che stabiliscano livelli minimi di tassazione (evitando il cosiddetto fenomeno della concorrenza fiscale) potrebbe far passare il gettito dall’ordine dei milioni (dal famoso 3% di cui si parlava all’inizio, si stima che l’Italia potrà ottenere circa 750 milioni di euro) a quello dei miliardi. Ovviamente, bisognerà valutare un diritto di imposizione non soltanto in funzione della presenza fisica o stabile organizzazione delle società sui territori nazionali, ma in base all’attività che realizzano nei territori medesimi.

«Si tratterebbe – conclude Pastorino – di una vera e propria tassa di scopo finalizzata appunto a riequilibrare almeno in parte gli effetti devastanti della pandemia sui piccoli e medi esercizi commerciali. Questi ultimi avrebbero il beneficio diretto di ricevere “ristori” più elevati e vedrebbero, in secondo ordine, un recupero di competitività, ancorché certamente non completo, dal punto di vista del prezzo dell’offerta del singolo prodotto o anche servizio. Questa incredibile e mai nemmeno lontanamente immaginata fase storica e economica credo ci debba obbligare a manovre finalizzate al riequilibrio generale all’interno del sistema e alla ridistribuzione generalizzata della ricchezza. Occorre quindi introdurre la web tax e predisporre una riforma fiscale che abbia in se questo tipo di messaggio e di impostazione socio economica, utile a restituire fiducia e prospettiva. Soprattutto a chi ha subito in modo così netto le ripercussioni di questa pandemia».

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