Ma quelli che citano Orwell cosa dicono della storia di Orban che mette lo spyware Pegasus nei telefoni dei giornalisti?

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L'organizzazione giornalistica no-profit francese Forbidden Stories ha esaminato una serie di documenti che dimostrerebbero questo modo di agire del presidente ungherese

Il livello di citazioni a caso raggiunto in questi giorni dalla politica italiana non ha precedenti. Soprattutto per quanto riguarda un autore che è diventato, in maniera totalmente inaspettata, una sorta di riferimento culturale della destra sovranista italiana. Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno citato spesso Orwell in questo anno e mezzo di pandemia, soprattutto per criticare le misure di distanziamento sociale e di controllo degli spostamenti causati dalla incontrollata diffusione del coronavirus tra la popolazione. Eppure, sembrano tacere quando – davanti a un’accusa ben precisa rivolta allo storico alleato in Europa Viktor Orban – si avrebbe ben ragione di citare il controllo sociale che in un romanzo come 1984 era stato in qualche modo previsto dallo scrittore britannico. Secondo alcuni documenti analizzati attentamente dall’organizzazione giornalistica no-profit francese Forbidden Stories, il governo ungherese utilizzerebbe il potentissimo  spyware Pegasus per controllare le conversazioni di numerosi giornalisti non allineati con ideologie e modi di agire di Viktor Orban.



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Viktor Orban e lo spyware Pegasus usato contro i giornalisti

Lo spyware Pegasus è uno strumento potentissimo, realizzato dall’azienda israeliana NSO Group, che permette – una volta installato in un dispositivo mobile – di avere accesso al microfono e alla telecamera di quello stesso dispositivo, di leggere e di ascoltare tutte le conversazioni, anche quelle che avvengono attraverso servizi di messaggistica che possono beneficiare della crittografia end-to-end. Insomma, non si scappa se questo spyware finisce nel proprio telefono cellulare. Lo strumento è talmente tanto potente da essere utilizzato soltanto nel corso di indagini internazionali per gravi casi di terrorismo. Eppure la non profit francese ha esaminato documenti che sembrano confermare un impiego dello spyware in Ungheria anche con giornalisti non allineati al governo Orban. Le indagini sui telefoni cellulari delle persone coinvolte sono state confermate anche da Amnesty International che da anni sta valutando anche lo stato della libertà di informazione nel mondo, stilando una classifica sui Paesi maggiormente interessati da eventuali ingerenze statali.



I bersagli individuati per l’utilizzo dello spyware

Uno dei bersagli principali di questa operazione di controllo sarebbe il network di media Direkt36, uno dei pochi gruppi indipendenti – a livello giornalistico – rimasti in Ungheria. Nella fattispecie, il bersaglio maggiormente selezionato sarebbe stato Szabolcs Panyi un giornalista che si occupa di temi sensibili e che più volte ha contattato funzionari del governo per avere delle dichiarazioni ufficiali su storie che stava seguendo. Curiosamente, negli ultimi mesi, ogni volta che richiedeva dichiarazioni ufficiali a funzionari del governo, si attivava lo spyware nel suo telefono cellulare. Secondo Amnesty, ci sono state 11 occasioni in cui un’infezione da Pegasus è stata confermata entro pochi giorni da una richiesta di commento del giornalista Panyi al governo.

Ma nella rete sarebbero finiti anche 10 legali e altri quattro giornalisti. Un metodo, insomma, piuttosto consolidato. Il governo ungherese rispedisce al mittente le accuse, affermando di non essere assolutamente interessato in operazioni di controllo di questo tipo. La società israeliana che produce lo spyware, inoltre, si trincera in un silenzio assordante, sostenendo di non essere autorizzata a diffondere dati sul comportamento dei clienti che utilizzano i suoi prodotti. Tuttavia, un ex dipendente della NSO ha dichiarato che il governo ungherese era effettivamente tra i clienti della società israeliana.