Oggi il processo per il ragazzo di Vicenza stretto al collo da un poliziotto: «La sua vita non sarà mai come prima»

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Un sit-in di protesta sotto al tribunale della città veneta

Alle nove di questa mattina, 12 agosto, è iniziato il processo per direttissima nei confronti del ragazzo di origini cubane, Denis Yasel Guerra Romero, che era stato immobilizzato da un poliziotto in pieno centro a Vicenza con una stretta al collo che a tutti è sembrata violenta. Il ragazzo è a processo per resistenza a pubblico ufficiale. Oggi, assistito dall’avvocato Chiara Bellini, si è recato in tribunale dove ha trovato diversi suoi amici e ragazzi che fanno parte di associazioni locali che si battono per i diritti civili che hanno organizzato un sit-in di solidarietà nei suoi confronti.



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Vicenza, sit-in davanti al tribunale per il processo di Denis

L’equivoco è partito dalla risata del ragazzo, che stava scherzando con i suoi amici, male interpretata da un agente di polizia, intervenuto sul posto per sedare una rissa che nulla aveva a che fare con Denis. Il 21enne, incensurato e con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, aveva avuto un contrasto con il poliziotto che gli chiedeva di identificarsi a causa di quella sua risata interpretata come gesto di scherno nei confronti dell’autorità.



Gli amici di Vicenza e la solidarietà a Denis

Da lì la lite culminata con la stretta al collo, il tentativo di fuggire da parte del ragazzo e, di conseguenza, l’arresto. I suoi amici hanno voluto solidarizzare con lui: «Il questore ha detto che non c’è stato razzismo – dicono al megafono all’uscita del tribunale -, ma che Daniel era stato maleducato e che aveva perso il diritto di libertà, di stare dov’era. La presa al collo è vietata da qualsiasi manuale di polizia. La sua vita, adesso, non sarà più la stessa. Quale lezione ha imparato? Quella dell’educazione a cui ha fatto riferimento il questore? Denis, immigrato regolare, non hai diritti: se non nella misura di quelli che ti vengono concessi non dalla legge, ma da chi quella legge è chiamato ad applicare. Sei tu che devi chiedere scusa perché chi porta la divisa è incapace di farlo».