Vi racconto una giornata da Giulio Andreotti
07/05/2013 di Stefania Carboni
Sono rimasti in pochi nel mondo di Giulio. Non c’è più padre Taggi, punto di riferimento del Divo quando spesso frequentava la Chiesa del Gesù, vicinissima alla dimora storica del partito. Non ci sono più gli amici scudocrociati di sempre che potrebbero raccontare le sue entrate all’alba in sede, le sue abitudini. Cercare i ritmi del politico che (nel bene e nel male) ha segnato la storia di Italia può a volte sembrare non facile. Ma basta chiedere e tra un saluto dell’uomo della scorta o i ricordi del suo portinaio, ed ecco che prende vita la Roma di Giulio. Una Capitale che si stringe tra Corso Vittorio Emanuele e Piazza San Lorenzo in Lucina. Vissuta di giorno e di notte perché, come disse nel 2009: “Giro ancora abbastanza, raramente la sera sto a casa”.
LA MAZZETTA – Al sorgere del sole la signora che gestisce il chiosco all’angolo tra il Ponte e il Corso sapeva già che giornali avrebbe preso come ogni giorno l’onorevole. A ritirarli, per anni, uomini della scorta. Nell’ultimo periodo il compito era però designato “dal personale della casa”. “Acquistava anche Espresso e Panorama” spiegano. Tra le letture gradite dal senatore in primis Il Messaggero, poi Il Tempo, L’avvenire, L’osservatore Romano. Quest’ultimo lo leggeva da piccolino, comprato a 40 centesimi, al posto del maritozzo. Dal 1931 lo sfoglierà impavido, “durante la persecuzione dei circoli cattolici da parte dei fascisti” racconterà poi a Repubblica. Tra gli amati di sempre anche il quotidiano di Caltagirone, che è stata una costante delle scelte dell’onorevole. Chiesto sempre. Ultimi giorni compresi.
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UFFICIO SOBRIO – La giornata di lavoro iniziava prestissimo. Andreotti arrivava in studio alle sei e mezzo, sette circa. Quel terzo piano al civico 26 in piazza San Lorenzo in Lucina da percorrere dopo aver fatto un salto in chiesa in via dei Prefetti. Fulvio, lo storico portinaio, non c’è il pomeriggio. E’ l’unico che può raccontare i suoi ingressi e gli ospiti che hanno varcato quella soglia. Nella fucina di Giulio c’erano tre ambienti: la stanza della segretaria Enea, il salone grande, con un tavolo di legno scuro, divani e foto che lo ritraevano con personaggi storici e il suo studio. Quest’ultimo era più piccolo e sobrio, ravvivato solo dalle caricature di Forattini appese ai muri. Ora le stanze del Divo sono occupate oramai da cinque anni dall’avvocato Giulia Bongiorno, uno dei suoi legali. Era molto giovane quando entrò a far parte del suo collegio di difesa per le accuse di associazione mafiosa. Al tempo era assistente dell’avvocato Sbacchi., difensore principale di processi durati 10 anni tra Perugia e Palermo. Si innamorò di quella piazza la prima volta che salì a Roma e quella vista la otterrà più avanti dalla sua scrivania. “Ma per me resterebbe sempre il Suo studio. Mi sentirei sempre e soltanto di passaggio” racconterà poi la Bongiorno nel 2008 al Corriere.
INZUPPARE – Cappuccino e cornetto. “Credo alla crema” ricorda un barista del caffè Ciampini, dove spesso la mattina uno dei due portinai ordinava la colazione per il senatore. Andreotti però nel bar non scendeva mai. “Credo – racconta – si sia fatto vedere solo per l’inaugurazione. Però poi ha sempre mandato qualcuno per ordinare la colazione”. I portinai facevano a gara tra i due bar della piazza per prendere, a seconda di chi toccava, un cappuccino diverso. Quando aveva gli uffici in via della Missione l’onorevole amava invece trascorrere il tempo anche all’hotel Nazionale, dove guardava i film proiettati in una stanzetta privata. “Aveva un rapporto grande d’amicizia col titolare – raccontano – spesso si fermava a giocare a tre sette o scopone”.
AMEN – Discreto. Se lo ricorda così un dipendente della Chiesa del Gesù, da cui Andreotti entrava ed usciva quando stava nella sede nazionale del partito. “Arrivava sempre di mattina – racconta – non si faceva notare e non si metteva in primissima fila. Gli piaceva però leggere le letture”. Col passare degli anni e con i problemi di salute suoi e di sua moglie Giulio veniva sempre più di rado. “Ora c’è un nuovo parroco – spiega – l’onorevole aveva stretto una profonda amicizia con il padre precedente, Taggi, che oggi non c’è più”. Le chiese saranno i suoi luoghi di calma e riflessione, posti in cui il Divo stacca la spina da tutti. In silenzio, da solo, con i suoi pensieri. Oggi i funerali saranno celebrati a San Giovanni dei Fiorentini, la sua chiesa, quella della domenica mattina. Dopo la messa festiva Andreotti divideva le sue ore libere tra lo stadio Olimpico (era romanista “moderato” che “sopportava” un figlio laziale) e l’ippodromo Capanelle.
C’ERA UNA VOLTA LA DC – Le passeggiate al Gianicolo, l’archivio al palazzo Macchi di Cellere, le sere con i giornalisti del “Popolo” a Palazzo Sciarra e le cene con Trilussa. Ci sono tanti angoli della città che Giulio aveva nel cuore, traffico a parte. A palazzo Cenci Bolognetti le persone che possono raccontare gli ingressi del Divo non ci sono più. Andreotti non girava da tanto tempo. Non riempiva più i vicoli con quei pochi della scorta e la sua fedele segretaria. Non più. “Qui non è rimasto nulla – racconta un giovane politico di passaggio – io lo conoscevo. Sono davvero amareggiato. Ora però di Democrazia non si trova nessuno, qui ci sono spazi dedicati al Popolo della libertà”. Come è cambiata la politica. Come è cambiata la Roma del Divo.