Thierry Breton dice che, con il Digital Services Act, l’UE è il nuovo sceriffo del web

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E utilizza "Il buono, il brutto, il cattivo" per esprimere il concetto

Mettiamo in fila i fatti. Il Digital Services Act è stato approvato nella giornata di ieri dal parlamento europeo: il testo del provvedimento, ora, dovrà passare all’esame del Consiglio e, di conseguenza, all’inserimento all’interno degli ordinamenti degli stati membri dell’Unione Europea. Quello che non si può negare è il fatto che il Digital Services Act sia il primo corpus di leggi organico, a livello internazionale, che cerca di disciplinare il comportamento dei giganti di Big Tech sul web. Ci sono dei paletti importanti in termini di trattamento dei dati personali, di lotta all’hate speech, alla disinformazione, a tutto ciò che sarebbe illegale anche offline. Ci sono cose, invece, da rivedere, sia nei rapporti con l’editoria, sia nella gestione degli algoritmi delle grandi piattaforme. In realtà, ci sarebbe anche un’altra cosa da rivedere: il tweet con cui Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, ha annunciato il DSA.



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Thierry Breton e lo stop al Far West del web

Nel tweet, c’è una scena de Il buono, il brutto e il cattivo (sicuramente una delle più celebri) e si sente la musica di Ennio Morricone. Il sottinteso è che il web non è stato altro che un far west negli anni scorsi, con scarse regolamentazioni e con una sorta di atteggiamento da catch all da parte di Big Tech, che è riuscito a fare il bello e il cattivo tempo su servizi che, in un secondo momento, sono diventati fondamentali per i cittadini e che, quindi, hanno bisogno di una regolamentazione.

Quello che prevede il Digital Services Act sarà sicuramente interessante dal punto di vista della lotta a fenomeni come la diffusione di disinformazione, di discorsi d’odio, di veri e propri attacchi alla persona attraverso gli strumenti che il web mette a disposizione. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti che sono rimasti – almeno secondo la sensazione degli addetti ai lavori – ancora incompiuti. Innanzitutto, si impone una ulteriore stretta sulla profilazione degli utenti online (che tocca un po’ tutti e non soltanto Big Tech, nonostante il GDPR): se è vero che i dati sensibili (o, meglio, alcuni dati sensibili) sono esclusi dall’attività di profilazione, il fatto che questa – anche nei suoi casi standard – sia resa ancora più complessa sicuramente non è un punto a favore dell’editoria indipendente, che basa proprio sulla raccolta pubblicitaria gran parte del proprio business e da qui prende le risorse, appunto, per restare indipendente.

Poco coraggio anche sugli algoritmi (da questo punto di vista, è stata molto intensa l’attività dei rappresentanti di Big Tech nella loro azione di lobbying all’interno del Parlamento europeo), che potranno essere esaminati dalle autorità competenti in casi di sospetti sui suggerimenti di contenuti d’odio, fake o comunque contrari alle altre norme previste all’interno del corpus legislativo, ma su cui gli utenti hanno ancora troppa poca voce in capitolo. Il far west è stato fermato, insomma. Ma fino a un certo punto.