Se pensate che Hemingway si sia appartato in un campo di Bollate, dovreste leggere questo

La verità sulla targa che circola insistentemente sui social network

06/12/2020 di Gianmichele Laino

In questi giorni ci siamo imbattuti più volte in una targa che parla di Ernest Hemingway in un campo di Bollate. Il testo del tributo recita: «In questi campi, nel 1918, lontano da occhi indiscreti, Ernest Hemingway si appartò con una giovane donna di Bollate». Si tratta di un’immagine che ha un successo clamoroso e che, ciclicamente, torna a far parlare di sé sui social network, dove tutto si crea e si ricrea anche a distanza di tempo. Ma se siete stati tra quelli che, più o meno acriticamente, hanno condiviso questa immagine, ci sono alcune cose che dovreste sapere.

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Targa Hemingway, l’intervista all’autore

L’artista internazionale Francesco Fossati ha realizzato la targa nel 2016, parte di un progetto iniziato un anno prima. Si tratta di opere che, volutamente, giocano con l’ambiguità e con il concetto di verosimiglianza. E che, per questo, possono trarre in inganno.

«Il fraintendimento è un po’ insito nel lavoro – spiega Francesco Fossati a Giornalettismo -: io ho sempre voluto che queste targhe vengano esposte senza didascalia, in modo tale da portare chi le guarda a immaginare la scena descritta. Ma un conto è trovarcisi di fronte, con un contesto noto – in un parco agricolo -, con tutte le loro suggestioni, un conto è trovarcisi di fronte sul web. Il fraintendimento comunque resta parte dell’opera stessa: sui social è più amplificato perché chiunque la può vedere».

targa Hemingway
Francesco Fossati, 2018, Ph. Eloisa Perego

Il progetto è stato richiesto da Parco Nord e Casa Testori – un’istituzione artistica del territorio -, in una zona del comune di Novate Milanese. Lo spazio originariamente era privato, poi è stato definito come parco agricolo ed è diventato un punto di riferimento per tutta la cittadinanza. «Il lavoro – spiega Fossati – è stato preceduto da alcune interviste dei protagonisti di questi campi (i proprietari o chi ci ha lavorato) e l’output sono state le due targhe realizzate per questo contesto. L’anno precedente avevo installato 9 targhe a Carrara, tutte che descrivevano episodi inventati ma verosimili. Il fatto ha un’aderenza storica in sé, ma non è accaduto. La targa di Hemingway è quella più nota: mi piaceva creare un senso di appartenenza a questo luogo, in modo tale che la gente del posto si potesse identificare. Chiunque dei residenti della zona, seguendo il racconto inciso sulla targa, poteva immaginarsi come un discendente di Hemingway, ovviamente nella finzione artistica: è un atto di appropriazione di un luogo all’aperto e che era di un altro, ma che così facendo diventa collettivo».

Targa Hemingway, la riflessione sulla viralità sui social network

Le opere sono state realizzate nel 2016, come si diceva, ma continuano a “rivivere” sui social network. Questo aspetto, in un mondo che è sempre più caratterizzato dalla diffusione di fake news su questi canali, impone una riflessione. «Il mio progetto nasce proprio sul tipo di informazioni che riceviamo – ci spiega Fossati -: noi conosciamo sempre un punto di vista sulla storia, prevalente rispetto ad altri. È un problema ampio che non riguarda solo i social network. Gli organizzatori avevano la speranza che questo effetto si verificasse: loro lo vedevano come una sorta di pubblicità dell’acquisizione da parte loro e volevano un’opera che facesse parlare di sé. Da parte mia, potevo immaginarlo, dal momento che la stessa cosa, anche se in scala più ridotta, era successo per le targhe di Carrara. Il successo della targa di Hemingway, probabilmente, è dovuto al fatto che sia stata chiamata in causa la sfera sessuale. L’accenno ha attirato, sui social network, l’attenzione anche di chi non è particolarmente interessato al mondo dell’arte, ma solo ai suoi lati più goliardici».

Nella carriera di Francesco Fossati, tuttavia, il progetto delle «targhe verosimili» è arrivato a una sua destinazione finale: «In questo momento – chiude – non sto più lavorando su questo progetto: lo considero concluso perché ha avuto un inizio nel 2015, ha avuto un discreto successo da Trento a Napoli, passando per Carrara ed Edolo, fino ad arrivare a Monaco di Baviera con un’installazione temporanea. Ma questo non esclude che, se dovesse arrivare una commissione, non ci tornerei su: ho dedicato tante energie a questo progetto, ma le installazioni negli spazi pubblici richiedono molta fatica, senza contare delle difficoltà quando si aggiunge l’interazione tra lo spazio pubblico e quello privato».

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