Substack – Intimità nell’era degli algoritmi
05/12/2025 di Federica Basili
Alle 7:42 del mattino, mi segnala che il post di ieri ha avuto un picco di aperture. “Ottimo engagement”, dice il grafico. Ma sotto, in piccolo, un altro dato: solo il 12% ha letto fino in fondo. Mi fermo. Rileggo il titolo. Era troppo lungo? Troppo filosofico? Troppo poco “algoritmico”?
Questo è il mondo della nuova scrittura “indipendente” in cui sei libero di scrivere e dire tutto. Purchè l’algoritmo lo approvi.
Substack nasce come una piattaforma per inviare newsletter con una promessa: conferire agli autori il pieno controllo dei loro contenuti. Ma oggi si è evoluta in qualcosa di più: uno spazio editoriale personale, diretto, senza mediazioni.
Nasce nel 2017 con un’idea semplice: dare agli scrittori uno strumento per pubblicare direttamente ai lettori, senza intermediari. Niente social, niente clickbait, niente SEO. Solo parole, recapitate via e-mail. Ma quella semplicità è diventata potenza. Oggi Substack ospita giornalisti, scrittori, analisti, influencer, attivisti.
Il blog era un diario pubblico.
La newsletter è un diario privato, ma condiviso. E in questa condivisione, si crea una nuova forma di intimità.
“A new economic engine for culture” recita il claim
Substack non è solo contenuto: è relazione. I lettori ricevono le parole direttamente nella loro casella e-mail. È un gesto intimo, quasi confidenziale.
E se fosse solo una nuova forma di engagement?
Scrittori, giornalisti e creator possono pubblicare articoli, podcast, video e contenuti esclusivi, scegliendo se offrire tutto gratuitamente o monetizzare tramite abbonamenti.
La fuga verso Substack: libertà o sopravvivenza?
Questo è un movimento silenzioso ma potente che sta cambiando il volto del giornalismo: professionisti che abbandonano le redazioni per costruire un rapporto diretto con il loro pubblico direttamente su Substack.
Non è solo una migrazione tecnologica, è una mutazione culturale. Un gesto che si colloca tra l’ideale e il necessario, tra la voglia di indipendenza e la fatica di resistere in un sistema editoriale sempre più precario.
Il Caso
Paul Krugman
Economista e premio Nobel, Krugman ha lasciato il New York Times dopo 25 anni di collaborazione. Gli era stato chiesto di ridurre la frequenza della sua newsletter, ma ha preferito aprirne una personale su Substack. Il suo gesto è stato letto come una rivendicazione di autonomia intellettuale.
Roberto Burioni
Il virologo italiano ha abbandonato i social per trasferirsi su Substack, dichiarando: “Non addestrerò gratis le piattaforme IA e non farò più il punching ball dei somari maleducati.” Per lui, Substack è diventato uno spazio protetto per comunicare senza aggressioni e manipolazioni.
Casey Newton
Ex giornalista di tecnologia per The Verge, Newton ha fondato la newsletter Platformer su Substack. Ha raccontato di aver scelto la piattaforma per la libertà editoriale e la possibilità di costruire una relazione diretta con i lettori. Substack gli ha persino offerto assistenza sanitaria e supporto legale, segno di un ecosistema pensato per il lavoro indipendente.
Scrittori e romanzieri
Secondo Rivista Studio, Substack è diventata una “terra promessa” anche per scrittori stanchi dell’industria editoriale. Alcuni usano la piattaforma per pubblicare romanzi a puntate, altri per sperimentare nuovi formati narrativi. Peter C. Baker, scrittore statunitense freelance, ha seguito il processo di pubblicazione di un romanzo interamente su Substack, interrogandosi se il “prossimo grande romanzo americano” possa nascere lì.
Libertà condizionata
Molti di questi autori hanno raccontato di aver ritrovato la gioia di scrivere. Ma altri, come Newton, hanno anche ammesso che il lavoro su Substack richiede una costanza estenuante.
La scrittura si mescola con la promozione, la gestione degli abbonamenti, l’analisi dei dati: ad ogni invio deve necessariamente seguire una performance analitica, ogni pausa è un rischio.
Il rischio è solo dello scrittore: si tratta di un’autonomia potente, ma anche molto faticosa.
Ogni silenzio del pubblico, a volte, pesa più di una bocciatura editoriale.
Substack promette libertà. Ma è una libertà condizionata:
- Dalla costanza: chi pubblica regolarmente viene premiato.
- Dalla visibilità: la piattaforma suggerisce i contenuti più letti.
- Dalla monetizzazione: se non pubblichi, non guadagni. E se non guadagni, non puoi scrivere a tempo pieno.
Possiamo dire che per molti, Substack è stato un rifugio. Un modo per uscire dal precariato editoriale, per liberarsi da logiche pubblicitarie, per tornare a una scrittura più personale.
Alcuni ci sono arrivati dopo anni di giornalismo freelance, altri dopo aver lasciato testate e redazioni storiche. Hanno portato con sé il proprio pubblico, o l’hanno ri-costruito da zero.
E oggi vivono – letteralmente – di parole. Ma vivere di parole significa anche venderle e venderle significa promuoverle che, forse, è la parte più difficile.
L’autore che diventa editore
Su Substack, l’autore è anche il curatore, il grafico, il responsabile marketing. Ricopre tutti i ruoli, ma non le competenze globali che questi ruoli richiedono.
La piattaforma offre strumenti semplici per scrivere, inviare e gestire contenuti, ma la vera sfida è costruire una comunità fedele, costruire cioè una relazione sopra citata.
Nasce così una nuova figura nel panorama editoriale contemporaneo: l’autore-imprenditore.
Ma dietro l’apparente libertà si nasconde una tensione costante, che è la tensione propria di ogni creator contemporaneo: quella tra scrittura e visibilità, tra qualità e costanza, tra creatività e algoritmo.
L’algoritmo non dorme mai
Substack non ha un algoritmo nel senso classico di come lo intendiamo nel mondo dei social, ma ha una logica interna silenziosa, persistente che premia la costanza e penalizza l’assenza.
Le newsletter che pubblicano regolarmente vengono segnalate, consigliate, spinte.
Quelle che rallentano, scompaiono. Non c’è spazio per l’assenza e, a volte non c’è tempo nemmeno per l’ispirazione.
E così, molti autori si ritrovano a scrivere anche quando non hanno nulla da dire. Non certo per passione, ma per pura necessità. Per non perdere lettori, abbonati e per non perdere rilevanza agli occhi di un algoritmo che diventa il loro nuovo datore di lavoro.
L’hater di turno è sempre dietro l’angolo
Substack è diventato un rifugio per giornalisti indipendenti, pensatori fuori dal coro, voci non allineate. Ma è anche un terreno fertile per opinioni non filtrate, per narrazioni personali che sfuggono al controllo redazionale. Libertà o rischio?
Senza fact-checking, senza editing, senza mediazioni, il confine tra informazione e opinione si assottiglia. E quando la soglia si abbassa, l’hater è sempre pronto a entrare. Commenti aggressivi, polarizzazione, attacchi personali: la libertà di espressione si scontra con la vulnerabilità dell’esposizione.
La piattaforma offre autonomia, ma non protezione.
E chi scrive si trova spesso solo, a gestire la propria reputazione, la propria sicurezza, il proprio equilibrio emotivo.
Qualche dato
Substack continua a crescere e a consolidarsi come una delle piattaforme editoriali più influenti del panorama digitale.
Con oltre 5 milioni di abbonati paganti su un totale di circa 35 milioni di iscrizioni attive, il modello si conferma efficace nel mettere in contatto diretto autori e lettori, senza mediazioni.
Nel luglio 2025, la piattaforma ha raccolto 100 milioni di dollari in un nuovo round di finanziamento, raggiungendo lo status di unicorno con una valutazione di 1,1 miliardi di dollari. Un traguardo che certifica non solo la solidità del progetto, ma anche l’interesse crescente degli investitori verso forme di informazione indipendente.
Il modello di business è semplice ma potente: Substack trattiene il 10% delle entrate generate dagli abbonamenti, lasciando agli autori la piena proprietà dei contenuti e delle mailing list. Questa autonomia editoriale ha attratto migliaia di scrittori, giornalisti e creator, soprattutto in un contesto politico polarizzato come quello attuale. La nuova amministrazione Trump ha infatti contribuito a un aumento della domanda di informazione non filtrata, spingendo molti utenti verso Substack come alternativa ai media tradizionali.
Dal punto di vista economico, la traiettoria è chiaramente ascendente.
Dopo aver registrato 11,9 milioni di dollari di revenue nel 2021, la piattaforma ha continuato a crescere con stime che indicano un incremento del 58% nel 2022 e una progressione costante fino al 2025. A questa crescita ha contribuito anche la diversificazione dell’offerta: oggi Substack non è più solo newsletter, ma anche contenuti audio, video e strumenti di community.
Tuttavia, non si può non considerare che la cosiddetta “creator economy” su Substack presenta forti squilibri. Alcuni autori guadagnano cifre significative, anche centinaia di migliaia di dollari all’anno, ma la maggior parte fatica a monetizzare. La distribuzione dei guadagni è fortemente sbilanciata, e questo solleva interrogativi sulla sostenibilità del modello per chi non ha già una base solida di lettori o una forte presenza mediatica.
Substack è dunque un ecosistema in espansione, ma non privo di tensioni.
Un laboratorio di libertà editoriale, ma anche un esperimento sociale.
Un luogo dove si ridefiniscono le regole del giornalismo, della scrittura, della relazione con il pubblico.
Ma in questo nuovo paradigma, quali sono i confini e, soprattutto, quanto pesa davvero l’algoritmo nella costruzione del pensiero?
Il dibattito è aperto. E forse, come sempre, la risposta non è nelle regole, ma nella coscienza di chi scrive.