La piccola Sofia, Stamina, le Iene e la soap opera del dolore
09/04/2013 di Chiara Lalli
Da qualche settimana “Le Iene” mandano in onda regolarmente servizi sulle “cure compassionevoli” offerte da Stamina Foundation, una Onlus costituita nel 2009 da Davide Vannoni. La vicenda di alcuni bambini con gravi patologie – tra cui Sofia, diventata la testimonial più nota – e dei loro genitori è diventata una saga sempre più confusa e pericolosa.
LA SOAP OPERA DEL DOLORE – Una soap opera del dolore e della disperazione. E come in una soap opera statica e bidimensionale, i personaggi sono divisi tra buoni e cattivi, spesso senza che vi sia nemmeno il bisogno o la curiosità di domandarsi perché l’abbiamo etichettati come tali e ignorando il loro passato. Non importa. Puoi odiarli o amarli anche se cominci a guardare dalla puntata numero 433. Nella Soap Opera Stamina, avviata da Giulio Golia nel marzo 2013, i buoni sono il giornalista solo contro la casta di oscurantisti e Davide Vannoni (& Stamina), solo contro lo status quo della scienza e della medicina. Entrambi sono inclini a usare con una pretesa di TrademarkTM parole come “cura”, “salvare”, “utilizzo terapeutico”. Golia e Vannoni – e tutti quelli che fanno la ola dal divano di casa propria cliccando, commentando e condividendo l’appello a favore delle cure compassionevoli – avrebbero a cuore la salute e il futuro dei bambini malati. Tutti gli altri sono invece i cattivi, senza cuore e assoldati da chissà chi e dio solo sa con quali losche finalità (gli insulti si somigliano tutti e sono ricorrenti: dal complotto al “venduto”, dalla negazione ostinata di metodo e informazione ai vari “vorrei che fossi al posto mio”, seguiti da insulti a volte pittoreschi).
AGIOGRAFIA DI STAMINA – Fin dall’inizio ci sono state spiegazioni di cosa non funzionasse nell’agiografica presentazione, offerta da “Le Iene”, delle “terapie” miracolose. Si veda MedBunker l’11 marzo 2013 Cure con staminali: l’Italia dei pifferai, il 21 marzo 2013, Terapia con staminali, riassumendo… e il 28 marzo 2013 Staminali, la cura che fa inorridire gli scienziati ma fa alzare l’audience. Oppure Cure stabilite da giudici, attori, cantanti di Roberta Villa il 14 marzo 2013. Si veda anche la lettera dell’11 marzo 2013, Staminali, lettera aperta al ministro della Sanità e Scientists criticize Italy for allowing unproven stem cell therapy, di Catherine Hornby, Reuters, 28 marzo 2013. Per cominciare ad orientarsi nel mondo della ricerca sulle staminali si può leggere Il punto sulle staminali di Luciano Conti ed Elena Cattaneo pubblicato su “Le Scienze” nell’ottobre 2011 e disponibile qui.
STAMINA E TELETHON – Ma come spesso accade, sembra essere del tutto inutile. Sia perché chi aveva deciso di essere d’accordo con Stamina senza capire continuava ad essere d’accordo senza capire, sia perché Golia continuava imperterrito a infilare una puntata dopo un’altra. Per non parlare della surreale idea di “confronto” tra Stamina e Telethon: 3 minuti di botta e risposta che nemmeno Ok, il prezzo è giusto! (nella puntata andata in onda il 24 marzo 2013; qui trovate un breve commento di Telethon al riguardo, Telethon, Le Iene e Vannoni, 25 marzo 2013). L’ultimo episodio – Staminali: lo scienziato contro Le Iene, andato in onda venerdì 5 aprile 2013 – ha ospitato anche un intervento di Paolo Bianco e una pretestuosa difesa dei servizi precedenti, utilizzando come interlocutore un pezzo pubblicato su “Tempi.it” (quello su “Nature”, Stem-cell ruling riles researchers, 26 marzo 2013, è stato solo nominato frettolosamente e la risposta di Giulio Golia si è concentrata su un particolare non rilevante, ovvero “and Italian show-business personalities joined the call to relax rules on stem-cell treatment.” Non invidiamo l’impresa di capire Adriano Celentano per un non indigeno, tuttavia l’eventuale contestazione riguardo all’appello dello showbiz non rimuove le perplessità espresse da “Nature”, e sarebbe bastato provare a rispondere a “Vannoni acknowledges that he has not published outcomes but says that the method is far from alchemy”. Che sarebbe come dire: “non ho pubblicato alcun romanzo, ma fidatevi sulla parola, sono la più grande romanziera di tutti i tempi”. Oltre a “Nature”, e come abbiamo già visto, volendo rispondere davvero alle critiche ci sarebbe stato solo da scegliere da dove cominciare). Usare “Tempi.it” è una mossa retorica geniale: si prende un avversario, il più fragile possibile, e si risponde a lui. Un po’ quello che accade nei dibattiti quando si usa la strategia dello straw man: si ridicolizza la posizione che non è la tua, ma è una sua caricatura, e la si affonda. Se andava bene quando avevamo 5 anni, quando abbiamo i capelli bianchi è patetico.
IL CASO DI PAOLO BIANCO – Ma torno a Paolo Bianco, Professore Ordinario di Anatomia e Istologia Patologica alla “Sapienza” di Roma, il quale ha cercato di spiegare cosa c’era che non funzionasse – provando anche a forzare la spietata regola televisiva di dire tutto in pochi secondi – e verso la fine si è spazientito. Imperdonabile per quelli che lo criticano (ed è buffo per noi cresciuti a forza di Sgarbi e insulti), che si attaccano pretestuosamente a questo dettaglio per sbizzarrirsi con i commenti (che la comunicazione scientifica sia complicata e a volte insoddisfacente non c’è dubbio – basta pensare al referendum sulla legge 40 – ma questo è un altro discorso). Golia, incapace di rispondere alle questioni sollevate da Bianco, ripercorreva strade già note e usate nei precedenti servizi – con un sorriso di chi è convinto di saperla più lunga di tutti gli altri e che ammicca al pubblico forte di un implicito patto criminale tra rintronati.
CHI E’ PAOLO BIANCO – Per sottrarsi all’effetto ipnotico della Soap Stamina è utile capire non solo cosa non funziona nel caso specifico, ma intravedere le questioni sottostanti. Ovvero, cosa significa sperimentare, quali sono i criteri per avviare un trial clinico, quando si può parlare di cura e soprattutto come capire se ci stanno fregando – ovvero quali rischi corriamo credendo a una promessa violata in partenza. Volendo ci sarebbe anche da discutere delle difficoltà riguardanti l’equa distribuzione delle risorse sanitarie – risorse limitate – ma possiamo lasciare in sospeso quest’ultimo punto, pur tenendo a mente che se investo soldi su A non ne avrò per B, e pertanto è necessario che i criteri di selezione per l’investimento di risorse pubbliche siano criteri sensati e non dettati dalla rabbia, dalla disperazione o dall’interesse personale. Avvicinandoci a Stamina ci accorgiamo che il puzzle è composto di tanti pezzi eterogenei, tra i quali il ruolo della stampa e delle istituzioni.
INTERVISTA A PAOLO BIANCO – Ed è proprio con Paolo Bianco che comincio a parlare di come dovrebbe comportarsi la stampa quando è alle prese con questioni scientifiche complesse (o anche sempre). “I giornalisti dovrebbero accertare i fatti e raccontarli a chi legge i giornali e a chi guarda la tv. Dovrebbero guardarsi dalle polemiche e dal costruire improbabili dibattiti tra lo scienziato e il grande pubblico. Comunicare al grande pubblico richiede conoscenza e capacità (oltre al tempo materiale) per tradurre la scienza in qualcosa di comprensibile anche a chi non è esperto. Non può avvenire in un dibattito televisivo – perché lo spazio concesso è inadeguato. Non è il formato giusto per divulgare un contenuto scientifico che è difficile da capire e da spiegare – se non fosse così, non ci sarebbe proprio la scienza”. Il caso Stamina sembra essere un perfetto esempio negativo: per fare bene, devi fare il contrario. “In queste settimane – continua Bianco – quasi nessuno in Italia s’è preso la briga di controllare se esistessero davvero dei brevetti, se ci fossero pubblicazioni scientifiche e di che natura fosse la convenzione tra un soggetto privato e un ospedale pubblico. Nessuno ha controllato – eppure sarebbe semplice, sono informazioni di dominio pubblico. Come si può avere un’idea al riguardo senza queste informazioni?”. Non solo. Abbiamo assistito a “confronti” surreali, in cui la libertà di espressione è spacciata per parere affidabile, e le regole della seduzione dialettica sono presentate come fatti scientifici. Bianco, che lavora da anni con le staminali, aggiunge che parlarne non è affatto semplice, e che mentre sul bosone di Higgs non si organizzano dibattiti televisivi in cui i fautori si scontrano con i contrari, invece sulle staminali tutti sembrano poter parlare, e questo è già un messaggio preciso. “Se metti nello stesso studio televisivo il medico e i genitori di un paziente, l’esperto di staminali e chi le staminali le maneggia senza competenza – se fai questo, hai già scelto un contenuto di comunicazione preciso. Il messaggio, fuorviante e pericoloso, è: c’è la staminale secondo X e quella secondo Y. L’esperto che chiede più tempo e un contesto adeguato lo si considera strafottente. Questo meccanismo si radica su un diffuso sentimento di astio verso tutto quello che è competenza. L’esperto fa parte di un mondo cattivo, è legato alle multinazionali e ha il cuore di pietra – ovviamente può capitare, ma questo è un altro discorso”. La competenza tecnica e la supponenza vengono confuse, con risultati disastrosi. “La prima è dalla nostra parte. Vado dal medico perché conosce il mal di testa meglio di me. Il medico mi trasmette la sua conoscenza, costruita in anni e anni, fatta di ricerca e di pubblicazioni. Filtra a mio vantaggio quella stratificazione e me la rende comprensibile. Io paziente faccio una cosa economicamente conveniente: chiedo all’esperto invece di ripercorrere tutta la storia del mal di testa per decidere da solo come affrontarlo – cosa che richiederebbe una decina d’anni, e io voglio una risposta ora”.
IL PRINCIPIO DI AUTORITA’ – In tempi di paternalismo medico era il principio di autorità a valere (il medico decideva per noi senza chiederci e senza informarci di nulla), oggi siamo passati faticosamente all’autodeterminazione e la questione della corretta informazione è cruciale. Continua Bianco: “l’autodeterminazione presuppone l’informazione. Il secondo passaggio è la scelta: se sottopormi a una terapia e a quale. Se manca il primo passaggio, ovviamente, non c’è scelta. Alcuni casi sono particolarmente complicati, e il dominio delle staminali è uno di questi. È un campo di ricerca nuovo e ancora incerto, e decidere consapevolmente è molto difficile. Questo nessuno vuole vederlo, ci si limita a voler dire il proprio parere – che un parere non è – e a liquidare come disfattista chi solleva dubbi sui viaggi della speranza e su improbabili rimedi”. In questo caso insomma, giocare senza rispettare le regole del gioco, o senza nemmeno conoscerle, può essere davvero molto pericoloso.
RUOLO ISTITUZIONALE – A complicare ulteriormente lo scenario ci sono le domande che riguardano i doveri istituzionali. “Le istituzioni devono stabilire le regole per garantire che qualunque atto medico sia non nocivo – primo principio etico della medicina. Nel caso di interventi terapeutici non ancora approvati (sperimentali), la sperimentazione deve svolgersi in modo controllato e non ignoto e arbitrario. Chiunque, e prima di tutto i pazienti coinvolti nella sperimentazione, deve avere modo di verificare cosa si sta facendo e con quali esiti, in modo trasparente e documentato, non affidato a quello che dice il proponente della cura (si sente odore di conflitto di interesse o di wishful thinking) né a quello che dice il paziente – che non è il miglior giudice. In più esiste l’effetto placebo, che produce risposte fisiologiche documentate oggettive, perfino misurabili. Qualunque sperimentazione, se non esiste un metodo di controllo (il doppio cieco), non potrà stabilire se un eventuale “effetto” osservato dal paziente sia effettivamente un risultato di quello che è stato fatto.
DOPO LA TERAPIA – Quando sentiamo dire “il paziente è migliorato dopo la terapia” non significa che la terapia ha funzionato. Significa solo che prima è stata somministrata una terapia X e che in successione temporale è stato osservato un miglioramento. Per poter dire che la terapia è la causa del miglioramento ci servono osservazioni diverse. Ma voi cosa pensate sentendo una frase del genere?”. Se si aggiungono la fretta, la richiesta di “risultati”, l’angoscia e la disperazione – pessime alleate dell’osservazione – la correlazione viene stravolta in nesso causale incontrovertibile. “Per questo nelle sperimentazioni cliniche chi valuta non è il paziente, né il medico sperimentatore, ma un soggetto terzo. Nessuno vuole impedire una cura compassionevole. Si vuole solo rendere una sperimentazione tale – cioè trasparente (e non dannosa) senza mistificare il messaggio ai pazienti. Dire “perché non provarci?” è un altro modo per confondere le acque. Provarci richiede dei requisiti precisi e una metodologia corretta. Non c’è, come si vuol fare credere, una comunità scientifica che vuole mettere al bando la cura compassionevole, ma che dice a chi fa queste pratiche – e a tutti – “vuoi sperimentare una terapia o un metodo originale? Fallo, ma fallo nei modi in cui è sicuro. Dando modo ai pazienti di sapere cosa proponi di fare e come.” C’è forse in questo qualcosa di avverso ai pazienti?”.