Se lavori poco, non potrai fare smart working

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Cosa contiene il decreto ministeriale Pola strutturato dalla ministra Dadone

L’ennesimo passo in avanti verso la demonizzazione dello smart working. L’attività che – durante la pandemia – ha salvato diverse aziende, che hanno potuto continuare ad andare avanti grazie alle connessioni internet dei dipendenti, che hanno assicurato servizi essenziali anche in epoca di distanziamento sociale viene praticamente messa in croce dal prossimo decreto ministeriale Pola (Piano organizzativo del lavoro agile), previsto dalla titolare della Pubblica Amministrazione Paola Dadone.



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Smart working e indicatori di produttività

All’interno del decreto, infatti, saranno inseriti alcuni indicatori di produttività che misureranno i risultati conseguiti dai dipendenti della pubblica amministrazione nelle loro giornate di distacco dall’ufficio, quando – sempre a causa delle norme anti-Covid – continueranno a lavorare da casa. E mentre il mondo va nella direzione dello smart working, mentre diversi studi di settore prevedono che questa formula sarà, con il trascorrere del tempo, quella prevalente in diversi settori (non solo della pubblica amministrazione, ma anche tra le aziende del privato), in Italia si pensa bene di “punire” con il ritorno in ufficio i dipendenti nel caso in cui non fossero abbastanza produttivi.



Smart working e il ritorno in ufficio per chi non rispetta gli standard

Chi, infatti, non raggiungerà gli obiettivi fissati dai vertici del settore della pubblica amministrazione che gestiscono i vari uffici – e saranno criteri che, a quanto pare, saranno standard -, allora dovrà rientrare a lavorare in ufficio. Indipendentemente, a quanto pare, dalle condizioni a cui si andrà incontro con lo sviluppo della pandemia e con la necessaria evoluzione (che ormai è già in atto) del mondo del lavoro.

Per questo motivo, ad esempio, i sindacati hanno accolto la notizia con diffidenza, annunciando proteste vivaci nei confronti delle parole della ministra Dadone. Lo smart-working, secondo la Cgil, non sarà altro che un modo per demonizzare il lavoratore della pubblica amministrazione.