«Non c’era alcun motivo per limitare la libertà personale del sindaco di Bibbiano»

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Le motivazioni della sentenza della Cassazione

La sentenza della Cassazione sul sindaco Bibbiano Andrea Carletti era già stata abbastanza indicativa. In quella circostanza per l’ex esponente del Partito Democratico (che si era autosospeso dal partito dopo l’esplosione dell’affare Bibbiano) era stata revocata la misura cautelare del divieto di dimora. Ora, sono uscite anche le motivazioni della sentenza emessa lo scorso 3 dicembre. E si sottolinea come si trattò di un errore, nello svolgimento delle indagini, imporre quella limitazione della libertà personale al sindaco di Bibbiano, coinvolto marginalmente nell’inchiesta Angeli e Demoni.



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Sindaco Bibbiano, le motivazioni della Cassazione

Il sindaco di Bibbiano, infatti, è indagato per abuso d’ufficio e non per i fatti direttamente legati ai presunti affidamenti illeciti dei bambini: le indagini su Andrea Carletti, infatti, si concentrano sull’affidamento di un servizio in maniera diretta e sull’aver messo a disposizione una stanza di proprietà del comune a chi si occupava dei servizi sociali del paese nel Reggiano.



Prima ancora, il sindaco della cittadina era stato messo agli arresti domiciliari, misura poi revocata a settembre dal tribunale del Riesame. L’ultima restrizione di libertà personale era rimasta il divieto di dimora, giustificato con il fatto che avrebbe potuto inquinare le prove esaminate dalle indagini. Oggi, nelle motivazioni della Cassazione, emerge che quel tentativo di inquinare le prove non era possibile e, pertanto, che la misura restrittiva era sbagliata e inutile.

Il clamore mediatico ingiustificato sul sindaco Bibbiano

Non c’erano elementi concreti che configurassero questo inquinamento di prove, così come non c’erano elementi concreti per la possibile reiterazione del reato. Eppure, il sindaco di Bibbiano era stato al centro del clamore mediatico, debole anello di congiunzione tra l’inchiesta Angeli e Demoni e il Partito Democratico. Il suo inserimento nel registro degli indagati aveva favorito una serie di slogan diffamatori – per i quali sono scattate anche delle querele – da parte degli avversari politici del Partito Democratico (definito, appunto, il Partito di Bibbiano) da parte di Lega, M5S e Fratelli d’Italia.