I rischi e gli effetti a lungo termine dello “sharenting”, l’esposizione dei bambini sui social

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Lo sharenting non riguarda solo gli influenzer, ma tutti i genitori forse poco consapevoli dei rischi e delle conseguenze di questa pratica

Il discusso video – circa 9 milioni di visualizzazioni- in cui Chiara Ferragni dialoga con suo figlio ha portato l’attenzione su in tema molto studiato all’Estero soprattutto dagli psicologi, cioè l’esposizione dei bambini sui social media e i suoi effetti a lungo termine sullo sviluppo psicologico degli stessi. La cosa che più ha perplesso gli utenti (e ha suscitato anche molte critiche) riguardo al video di Ferragni è proprio la modalità scelta per condividere un momento privato, cioè una ripresa da una telecamera di sicurezza della propria abitazione. Ad alcuni è sembrato che si stesse superando un certo limite: già i bambini, non solo figli di influencer, vengono esposti continuamente sui social con foto e video, ora si cerca di “offrire” al pubblico anche la dimensione privata della vita dei bambini in famiglia.



Lo «sharenting» e le possibili conseguenze nello sviluppo psicologico dei bambini

In ambito anglosassone, la pratica di diffondere immagini dei propri figli sui social media è definita «sharenting», dall’unione delle parole «share», condividere, e «parenting», essere genitori. Gli studiosi hanno spesso espresso le proprie preoccupazioni e perplessità connessi sia ai rischi che si potrebbero correre ma soprattutto sugli effetti nello sviluppo psicologico individuale dei bambini. Oltre a questo, lo «sharenting»  porta necessariamente la discussione sul piano della privacy e dei diritti. Alcuni studiosi hanno sostenuto che uno dei rischi è quello che i bambini sovrappongano piani differenti della realtà dovuta a una difficoltà di distinguere il mondo reale da quello virtuale. Altra conseguenza potenzialmente dannosa nel processo di crescita di un bambino è il fatto che appunto i bambini si rendano conto di essere stati esposti agli occhi di molti – potenzialmente milioni di persone – e che questo crei una forma di disagio nel rapportarsi con altri bambini, probabilmente anche loro presenti a loro volta sui social ma con una frequenza minore.

Uno degli aspetti problematici dello «sharenting» di cui si inizia a discutere anche in Italia riguarda il consenso dei bambini rispetto alla possibilità di apparire sui social. Per ovvie ragioni, i bambini vengono esposti sulle piattaforme digitali senza poter scegliere liberamente e senza potersi opporre a una scelta operata dai genitori che evidentemente non considerano tutte le conseguenze che un comportamento simile può avere. Nonostante siano nate realtà come Fondazione Carolina, impegnata per la diffusione dell’uso corretto, positivo e consapevole delle nuove tecnologie da parte dei minori, si è ancora lontani in Italia da una legge che regoli l’esposizione mediatica e tuteli i diritti dei bambini. Alcuni Paesi, come la California o il Regno Unito, si stanno muovendo in questa direzione, ma anche il questo caso non in modo risolutivo: in California la legge Coogan regola i diritti dei bambini rispetto ai guadagni ottenuti dai genitori quando i bambini sono assunti o messi sotto contratto da terze parti ma non riguarda i social nello specifico, mentre il ministero per il Digitale, la Cultura, i Media e lo Sport del governo britannico vorrebbe obbligare gli influencer a rendere chiari i loro rapporti con gli inserzionisti nei contenuti pubblicati.