A partire dal 2023 – e passando per lo switch off previsto nella giornata di domani, 20 dicembre 2022 – abbiamo approfondito quello che è accaduto nell’anno che sta terminando sia in termini di sistema televisivo che in termini di sistema streaming. I dati, sia nell’uno che nell’altro ambito, parlando chiaro: il televisore si sfrutta sempre meno ma la televisione – inteso come canali televisivi e come fruizione dello streaming – sta avendo un buon andamento sui nuovi media. Per quanto riguarda lo streaming, dopo il boom degli scorsi anni le aziende che producono contenuti – visto il calo di nuovi iscritti che, per la prima volta la scorsa primavera, Netflix ha registrato – stanno rallentando gli investimenti, puntando sulla creazione di un minore quantitativo di contenuti. Di questo andamento che si sta registrando negli Stati Uniti e di quello che accade in Italia abbiamo scelto di parlarne con Christian Ruggiero, docente del Coris (Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale) della Sapienza di Roma.
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Adottare il nuovo digitale terrestre, il DVB-T2, a partire dal 2023 farà sì che i broadcaster si allineino «allo standard che l’attuale tecnologia per l’audiovisivo consente». A rendere urgente questa operazione è stata «la necessità di liberare la banda a 700 Mhz per “far spazio” alla telefonia in 5G: un elemento che fa tornare d’attualità i dibattiti che hanno animato il mondo della comunicazione tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila – spiega Ruggiero -. In questo caso, però, il tema non è la possibilità di ritrovarsi il telegiornale di Emilio Fede sul satellite, ma la difficoltà di adeguamento dell’hardware a disposizione dell’utenza. Come annunciato dagli stessi broadcasters per bocca di Confindustria RadioTv, la data dello switch-off era stata scelta per venire incontro alle fasce di popolazione più deboli, che avrebbero avuto maggiori difficoltà sotto il profilo tecnologico e “operativo” a gestire il rinnovo del proprio apparecchio o l’applicazione di un decoder».
«Le difficoltà incontrate sull’effettiva disponibilità dei bonus pone un problema “dal basso” rispetto a quest’operazione, che non è di poco conto. Questo disallineamento tra i piani dei broadcaster e le possibilità degli utenti necessiterebbe forse di un’ulteriore approfondimento, ma una volta messo in moto un apparato industriale, compreso quello audiovisivo, è difficile rivedere i programmi fatti», riflette il docente.
Commentando i dati Censis, Ruggiero evidenzia come «sono i giovani tra i 14 e i 29 anni, che per una serie di motivi hanno come riferimento di fruizione schermi diversi da quello televisivo» individuando, rispetto a questo, due elementi da considerare: «Il primo è che l’Italia è un Paese anziano, e la popolazione “senior”, affezionata al mezzo televisivo tanto per l’informazione quanto per l’intrattenimento non può essere considerata come un target minoritario rispetto a quello giovanile» ma «il bacino che regge tutt’ora le sorti dei grandi broadcaster, un bacino che non può essere dato per scontato, considerato immobile e restio al cambiamento, ma rispetto al quale è invece opportuno condurre tutti gli investimenti che garantiscano una fruizione di qualità».
«Il secondo elemento da considerare – prosegue il professore, interpretando i dati alla luce dello switch off – riguarda proprio i consumi giovanili, che passano sì per i dispositivi mobili, ma nella misura in cui questi dispositivi hanno una portata in termini di banda sempre maggiore (torna il tema della sinergia col 5G, e in qualche modo tutto si tiene) sono in grado di ricevere segnali sempre più complessi. E’ finita da tempo l’era dei video sgranati provenienti da cronisti improvvisati, ormai quanto ripreso, trasmesso e ricevuto da uno smartphone fa concorrenza al Tg1, dunque la possibilità, almeno teorica, di accedere alla rinnovata offerta audiovisiva c’è. Inoltre, permangono momenti di “unità nazionale” in cui anche i giovani tornano, pur con gli stili di fruizione che gli sono propri, a guardare allo schermo televisivo. Il Festival di Sanremo è uno di questi, ed esser pronti per questo “grande evento mediale” è certamente un vantaggio per quella parte di broadcasting che fa riferimento al Servizio Pubblico Radiotelevisivo».
«La parola chiave che da studiosi di comunicazione dobbiamo sempre tenere a mente, anche perché le generazioni di nativi digitali ormai la incorporano automaticamente nei loro comportamenti di consumo, è ibridismo. Nella storia dei media, nessuna nuova tecnologia, nessun nuovo canale di comunicazione ha mai del tutto soppiantato gli altri. Pensiamo a quello che è stato recentemente definito come “Ecosistema Audio Suono”, che certifica la vitalità di quello che un tempo avremmo chiamato sistema radiofonico, inserito in un ecosistema fatto di diretta e streaming, livecast e podcast, broadcast e narrowcast».
«Pubblici diversi – spiega Ruggiero – fruiscono di prodotti diversi, ed essi stessi cambiano nel tempo, modificando le proprie abitudini di vita e di conseguenza quelle di consumo, culturale e mediale. E c’è spazio per un consumo trasversale che interessa un medesimo prodotto, sottoposto da pubblici diversi a procedure di fruizione differenziate. In un territorio magmatico come quello della comunicazione, pretendere di prevedere l’evoluzione dei consumi oltre il medio periodo è particolarmente arduo; «quel che occorre è la capacità di cambiare rotta rapidamente, seguendo eventuali cambi repentini della corrente»«. E tener presente che, come dimostrano i problemi di questo switch-off, il tema dell’utilizzo della banda di trasmissione rimane centrale, anche se negli ultimi anni siamo stati portati a considerare questa risorsa come inesauribile».