Sea Watch, lo straziante appello dei migranti: «Fateci sbarcare, sembra di stare in prigione»

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I 42 migranti a bordo della Sea Watch da 13 giorni si trovano a 16 miglia da Lampedusa senza poter sbarcare. E lanciano un appello

«Non ce la facciamo più, qui siamo come in prigione, aiutateci a sbarcare presto, a mettere i piedi giù da questa barca». È l’appello lanciato da uno dei 42 migranti a bordo della nave Sea Watch 3, che si trova da 13 giorni al confine con le acque territoriali a 16 miglia circa dall’isola di Lampedusa. “Siamo tutti stanchi, esausti, stremati – dice uno di loro in un video della Ong postato sulla pagina Facebook del ‘Forum Lampedusa solidale’ – pensate a una persona appena uscita di prigione e fuggita dalla Libia, che ora si trova qui seduta o sdraiata. Immaginatevi come debba sentirsi questa persona».



Un migrante sulla Sea Watch: «Aiutateci, qui manca tutto»

I migranti sottolineano che a bordo «manca tutto, non possiamo fare niente, non possiamo camminare né muoverci perché la barca è piccola mentre noi siamo tanti. Non c’è spazio. L’Italia si rifiuta di farci approdare», proseguono. «Chiediamo l’aiuto delle persone a terra, qui non è facile, non è facile stare su una barca piccola. Per favore – concludono i migranti – non ci lasciate qui così, non ce la facciamo più».



La capitana della Sea Watch: «Forzo il blocco ed entro in acque italiane»

In un’intervista rilasciata a Repubblica, la capitana tedesca della Sea Watch, Carola Rackete, sembra avere le idee chiare: «Io voglio entrare. Entro nelle acque italiane e li porto in salvo a Lampedusa. Sto aspettando cosa dirà la Corte europea dei diritti dell’uomo. Poi non avrò altra scelta che sbarcarli lì». Rackete rischia l’accusa per favoreggiamento all’immigrazione clandestina, di associazione a delinquere, una multa e la confisca della nave.

«Io sono responsabile delle 42 persone che ho recuperato in mare e che non ce la fanno più. Quanti altri soprusi devono sopportare? La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione. Non bisognava arrivare a questo punto», afferma la capitana. Quanto alla condizione dei naufraghi, Rackete dice: «Sono disperati. Qualcuno minaccia lo sciopero della fame, altri dicono di volersi buttare in mare o tagliarsi la pelle. Non ce la fanno più, si sentono in prigione. L’Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa».



A bordo ci sono anche minorenni, «tre ragazzi di 11, 16 e 17 anni. Non stanno male, ma in Libia hanno subito abusi – racconta Rackete -. Il 14 giugno ho fatto richiesta al Tribunale dei minorenni di Palermo perché prendesse in carico il loro caso. Non mi ha risposto nessuno».

[CREDIT FOTO: ANSA/Elio Desiderio]