Il gestore di 8kun praticamente ammette di essere Q (ma non se ne rende conto)

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L'ingloriosa fine di una teoria della cospirazione che ha visto momenti di tensione come quello del 6 gennaio al Campidoglio

Alla fine lo ha ammesso. Con il sorriso complice di chi si è appena reso conto di aver detto una cosa che non avrebbe mai dovuto dire. Ron Watkins è Q. Lo ha scoperto – in maniera pressoché definitiva – Cullen Hoback, nel suo documentario in sei puntate andato in onda su HBO e che si intitola Q: Into the storm. Del resto, l’obiettivo del lavoro non era tanto quello di verificare le teorie del complotto raccontate dal fantomatico Q prima su blog specializzati e poi anche su altre piattaforme social, ma risalire proprio all’identità di questo misterioso ispiratore di retropensieri, che ha caratterizzato la politica (soprattutto la comunicazione politica) americana sin dal 2017, annunciando – tra le prime cose – il fantomatico arresto di Hillary Clinton. Ron Watkins, alla fine del documentario in cui compare – cosa estremamente rara per lui – in video, parla di come ha condotto la propria attività di formazione nei confronti dei cittadini americani e non solo.



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Ron Watkins è Q, la rivelazione che deluderà anche molti followers italiani

«Sono stati tre anni di addestramento di intelligence insegnato ai normie – ha affermato nell’intervista a Cullen Hoback – Un po’ quello che avevo già fatto in anonimato prima». Qui, c’è una pausa piuttosto lunga. Watkins si è reso conto di aver detto più del dovuto, di aver rivelato di aver avuto una identità anonima in passato. Poi, nel volersi correggere, fa il passo falso più clamoroso: «Ma mai come Q». Nello stesso momento in cui pronuncia questa frase che lo tradisce definitivamente, scoppia a ridere. Così come scoppia a ridere lo stesso Cullen Hoback che, probabilmente, non si aspettava una risposta del genere, una soluzione così definitiva alla domanda che si era posto all’inizio del suo documentario.



Ron Watkins, insieme al padre Jim Watkins, aveva rilevato il blog 8chan, facendolo diventare 8kun, la piattaforma da cui il misterioso Q aveva iniziato a postare, parlando di Deep State, di complotto contro Donald Trump, di scandalo Pizzagate e di teorie assurde sul coronavirus. Q aveva iniziato a perdere forza con la sconfitta di Trump alle elezioni (l’ennesima profezia che non si è verificata) e ha avuto come ultimo sussulto la partecipazione di molti suoi adepti alla protesta in Campidoglio del 6 gennaio, l’estremo tentativo di trasformare le farneticazioni del web in qualcosa di reale.

Il pasticcio

La cosa più clamorosa è stata il tentativo di Watkins di camuffare questa sua gaffe. Nel suo gruppo Telegram, prima della messa in onda pasquale del documentario di Hoback, ha rivolto questo messaggio ai suoi iscritti: «Ricordatevi: io non sono Q». E poi, ancora in maniera più bizzarra, ha accusato lo stesso Cullen Hoback di essere Q, una volta che il documentario era stato pubblicato e che la frittata era stata fatta.

Si chiude, quindi, nella maniera più ingloriosa possibile la vicenda di QAnon, parte rilevante – che lo si ammetta o meno – della politica americana degli ultimi 4 anni di presidenza Trump. Una teoria che si autoalimentava dalla propensione a credere ai complotti degli utenti di internet e che ha avuto un riflesso anche offline: non soltanto l’influenza sull’attività politica, ma anche il clamoroso assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso.