Quali negozi aperti e quali negozi chiusi dopo l’emanazione del dpcm dell’11 marzo 2020 da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte? Questa è una delle tante domande che gli italiani si stanno ponendo in queste ore, per organizzare le proprie vite – già abbondantemente stravolte dal contagio del coronavirus – dopo l’ultimo provvedimento del governo che prevede la chiusura delle attività commerciali non essenziali su tutto il territorio italiano. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha affermato che, per il momento, la sospensione è da intendersi fino al 25 marzo 2020: 14 giorni per capire se questi provvedimenti avranno effetti sulla riduzione dei contagi.
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Ecco alcuni passaggi del testo che chiariscono quali sono le attività commerciali che chiuderanno e quali quelle che invece resteranno aperte:
«Sono sospese le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità individuate nell’allegato 1, sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell’ambito della media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali, purché sia consentito l’accesso alle sole predette attività. Sono chiusi, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, i mercati, salvo le attività dirette alla vendita di soli generi alimentari. Restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie. Deve essere in ogni caso garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro».
Ovviamente la chiusura riguarda anche i servizi di ristorazione che, tuttavia, potranno continuare le consegne a domicilio:
«Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) – si legge nel dpcm dell’11 marzo 2020 -, ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di un metro. Resta consentita la sola ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto. Restano, altresì, aperti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di un metro».
Non sarà possibile tagliarsi i capelli o curare la propria persona in esercizi commerciali poiché «sono sospese le attività inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti)». Ci sono anche altri esercizi commerciali che risultano aperti, come da allegati al dpcm: commercio al dettaglio di materiale informatico e commercio al dettaglio di ferramenta, oltre alle lavanderie, alle agenzie di pompe funebri e – ovviamente – ai distributori di benzina.
Restano garantiti, invece, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonché l’attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro-alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi. Questo perché altrimenti la filiera della produzione di generi alimentari – necessari e indispensabili, come si evince anche dall’apertura dei negozi alimentari – non può assolutamente bloccaris.
«Il Presidente della Regione – si legge nel dpcm – può disporre la programmazione del servizio erogato dalle Aziende del Trasporto pubblico locale, anche non di linea, finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi in relazione agli interventi sanitari necessari per contenere l’emergenza coronavirus sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, può disporre, al fine di contenere l’emergenza sanitaria da coronavirus, la programmazione con riduzione e soppressione dei servizi automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, aereo e marittimo, sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali».
Per tutte le aziende e le industrie che restano aperte, invece, occorre rispettare questi standard: